Cultura e Spettacoli

Da Wonder alle Supremes l'impero "nero" della musica

In uscita il volume "Motown" con la storia dell'etichetta che ha lanciato tutti i big In arrivo anche una fiction

Da Wonder alle Supremes l'impero "nero" della musica

Stop! In the Name of Love è un classico della musica soul, inciso nel 1965 dalle Supremes di Diana Ross e schizzato immediatamente in testa alle classifiche di Billboard. Un evento normale all'epoca, perché tutti i dischi prodotti dalla Motown (o Tamla Motown come la chiamavano in giro per il mondo), interpretati da personaggi come «Little» Stevie Wonder (che debuttò a soli 12 anni), Smokey Robinson, Marvin Gaye, The Temptations, Al Green, i Jackson 5 entravano nel pantheon del soul e dello r'n'b, superando perfino le barriere razziali e oscurando il rock dei bianchi. Pensate che l'album With The Beatles conteneva le cover di tre grandi successi Motown come Please Mr. Postman, Money (That's What I Want), You've Really Got a Hold On Me, mentre nello stesso periodo i Rolling Stones incidevano la loro versione di Can I Get a Witness di Marvin Gaye.

Era un periodo d'oro per la black music, che voleva dimenticare la schiavitù e la segregazione legate al blues e si gettava sul mercato combattendo alla pari con l'industria discografica bianca nello sfornare mode e una hit dietro l'altra. «Molto tempo prima che una lingua di cartone diventasse il simbolo mondiale dell'essenza dell'eccesso - scriverà Andrew Loog Oldham, scopritore dei Rolling Stones - la Motown era un marchio a 360 gradi, una celebrazione assoluta di suono, stile e successo. E, cosa più importante, la Motown faceva crescere l'inarrestabile autocoscienza degli afroamericani». E tutto questo accadeva a Detroit, dagli uffici di un genio della musica e degli affari come Berry Gordy Jr, che alla fine degli anni '50 creò la Motown e la trasformò in una «Hitsville», come viene chiamata ancora oggi. La avventurosa storia di questa compagnia discografica - che è passata anche attraverso il ferro e il fuoco della rivolta del ghetto nero di Detroit dell'estate 1967, dove Gordy aveva fondato la sua prima casa discografica - è raccontata nello splendido volume Motown. The Sound of Young America (Thames & Hudson, di Adam White con Barney Ales, braccio destro di Gordy, con prefazione di Oldham, pagg. 400, euro 45) ricco di notizie e di fotografie rare e inedite.

Grazie a Gordy e a Ales, la musica divenne la seconda attività produttiva di Detroit dopo l'automobile. Questo per la bellezza delle canzoni e per il senso di integrazione che portavano con sé quei brani così intensi, fatti per ballare ma anche per pensare. Prima della Motown c'erano state altre etichette che puntavano sugli artisti di colore (prima tra tutte la Chess, gestita dagli omonimi fratelli, emigranti polacchi, che puntarono tutto sul blues di gente come Muddy Waters e Howlin' Wolf), ma l'impresa di Gordy aveva un respiro internazionale. Organizzò convention e spettacoli faraonici con tutti i suoi artisti migliori, da Smokey Robinson coi suoi Miracles, che fu il primo a sfondare ai Four Tops, da Martha & The Vandellas a Al Green ai Temptations, da Gladys Knight & The Pips agli Isley Brothers passando per quelle che venivano annunciate come «tre signorine che sono considerate le più grosse star al mondo, l'orgoglio della Motown e le regine di Detroit Diana Ross & The Supremes». In quel modo la Motown divenne la più importante azienda gestita da neri d'America, con un fatturato previsto, nel 1967, di oltre 20 milioni di dollari. Persino una rivista come Fortune celebrò la carriera di una azienda che era nata negli slum di Detroit e ora era, come si intitolava l'articolo, The Motown Sound of Money.

La Motown era un colosso ma era famosa per il successo dei suoi 45 giri. Per arrivare al mercato dei long playing serviva qualcosa di speciale, e questo qualcosa si chiamava Stevie Wonder, il ragazzino mingherlino e altissimo che suonava l'armonica e girava accompagnato da mamma Lula Mae Hardaway e dal tutore Ted Hull. Wonder debuttò nel '62 con l'album The Jazz Soul of Little Stevie e con il singolo Fingertips, che passò quasi inosservato. Ma Gordy e Ales credevano in lui (del resto la stoffa c'era) e lo portarono in concerto al teatro Regal di Chicago (dove B.B. King incise il suo più bel disco dal vivo) dove trionfò. Lì, in diretta, furono incisi Fingertips (Part 2) e l'album The 12 Year Old Genius Recorded Live, che volarono entrambi in vetta alle classifiche di Billboard. Da lì anche gli Lp della Motown divennero dei best seller - da quelli di Marvin Gaye a quelli dei Temptations - e Stevie Wonder divenne una stella di prima grandezza, subito invitata all'Olympia accanto ad artisti del calibro di Dionne Warwick e The Shirelles.

Una grande storia di successo e costume che verrà raccontata anche in tv nei prossimi mesi dalla serie della Bbc Stop! In the Name of Love, che fa rivivere gli anni '60 e '70 punteggiati dai grandi successi firmati Motown.

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