Cultura e Spettacoli

Gli zombie dall'oltretomba per darci un vero nemico

Luigi Iannone

L etteratura e cinematografia di genere pongono stabilmente l'attenzione sui morti viventi. Perché? Come ci ricorda Carl Schmitt, aver strumentalmente appesantito il concetto di umanità con un carico di correlati politicamente corretti, ha fatto sì che l'uomo moderno vaghi in assenza del nemico. Proprio quel nemico che nella costruzione schmittiana sarebbe invece utile, necessario e alla base di una normale e produttiva dialettica politica. In un mondo dove invece tutto è omologato e senza confini, l'hostis non ha più nulla di umano e, di conseguenza, è pure lecito l'abbandono di ogni freno morale. Ma se l'umanità moderna non ammette altro da sé, al contrario certa letteratura e certi film non si sono arresi all'assenza del nemico traslandolo per un certo tempo in una futuribile invasione aliena. Successivamente si è pensato che la minaccia potesse sorgere dalle viscere della città e da quartieri a noi familiari. E quindi l'attenzione si è spostata al mondo degli zombie, cui dedica un dossier la Rivista di Politica diretta da Alessandro Campi (Rubbettino editore), descrivendo la gestazione, i perversi significati e i motivi che hanno portato ad una espansione di un fenomeno che, a partire dall'11 settembre 2001, è diventato ipertrofico.

Della presenza zombie ritroviamo tracce ad Haiti sin dal XVIII secolo. Essi assumono sembianze di morti che ritornano in vita grazie a polveri somministrate da stregoni. L'intento è di risvegliarli e costringerli al lavoro nei campi con lo scopo di renderli schiavi. Gli anni Trenta si segnalano per i due film di Victor Halperin, White Zombie e Revolt of the Zombie, il quale recupera dalla tradizione vodoo haitiana l'immagine di una stregoneria in grado di tenere sospesi tra la vita e la morte questi esseri, poi trasformati in servi sfruttati nel lavoro industriale. Col mutare della società si modifica anche l'iconografia. E George A. Romero a cambiare l'approccio. La notte dei morti viventi (1968) è la chiave di volta per dar forma ai moderni incubi. I morti si moltiplicano per contagio e si caratterizzano per l'antropofagia. Ma qui, l'inversione di tendenza rispetto agli inizi haitiani, è palese e i richiami al romanzo di Richard Matheson, Io sono leggenda, pubblicato agli inizi degli anni Cinquanta, sono evidenti.

Se nel primo film il contesto è quello della contestazione studentesca e del Vietnam, nel corso della trilogia di Romero l'obiettivo muta: il campo di battaglia diventa quello che il sociologo Marc Augé definirà non-luogo, per esempio il centro commerciale, dove i morti viventi mettono in scena la bulimia cronica del consumatore. Con l'inizio del nuovo secolo si assiste alla zombie renaissance.

Videogame, fumetti, romanzi propongono nuovi modelli come in 28 Days Later e Resident Evil dove lo scenario è anche quello apocalittico e l'immagine del living dead diventa barometro dell'ansia prodotta dalla distruzione dell'ambiente, dal progresso tecnologico, dalla mercificazione del corpo, dalla famelica finanza internazionale.

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