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Addio Banks, la leggenda in una parata

Vinse il Mondiale del '66, ma passò alla storia per un gol negato a Pelè

di Tony Damascelli

N on amava calzare i guanti. Preferiva le mani nude, come usava fare quando suo padre Thomas, un allibratore di Sheffield, lo mandò a lavorare da carbonaio prima e da muratore dopo, aveva le mani nere di fumo e rosse di bricchi. Quella domenica di giugno, era il giorno sette del Millenovecentosettanta, Gordon Banks calzò guanti biancastri. Indossava una casacca blu violaceo e i pantaloncini bianchi erano cortissimi e aderenti, come la moda del tempo. Il lungo linea di Carlos Alberto mise in velocità Jairzinho, l'ala andò al cross superando in due dribbling Terry Cooper, la traiettoria del pallone disegnò un arco, Edson Arantes do Nascimento prese a salire nel cielo di Guadalajara, lo stacco fu maestoso, la torsione e la frusta con la quale colpì il pallone di testa, di una potenza e di una eleganza magiche, la folla urlò al gol, la veste bluastra stracciò l'aria, Gordon Banks fece un balzo come un gatto con il gomitolo, sulla propria destra, togliendo dalla porta il gol del re dei due mondi.

Quella fu celebrata come la più grande parata della storia del calcio. Quattro anni prima Banks aveva vinto il titolo mondiale, ma fu l'evento messicano a passare alla leggenda. Undici anni or sono Pelè andò a Stoke per inaugurare la statua davanti allo stadio in Filbert street, Banks con la coppa Rimet tra le mani, le stesse di quel giorno a Guadalajara. Gordon fu costretto a saltare la partita successiva contro la Germania a Leon. Una zuppa maligna gli provocò febbre e vomito, qualcuno pensò a una trappola velenosa tedesca per far fuori il migliore portiere del torneo, giocò Peter Bonetti e l'Inghilterra uscì dal mondiale. Restò la fiaba di quella parata ma due anni dopo, nell'ottobre del Settantadue alla guida della sua Ford Consul, Banks andò a sbattere contro un Austin A60, l'urto fu violentissimo, Gordon si ruppe il polso, il dito di una mano, la clavicola, il naso, occorsero duecento punti di sutura per le ferite nel corpo ma la conseguenza più drammatica fu la perdita dell'occhio destro. Segnò la fine della sua carriera, Gordon si dedicò ad allenare i ragazzi dello Stoke per poi avventurarsi, orbo da un occhio, nel soccer americano, giocando con il Fort Lauderdale Strickers nella National League che contava Pelé, Carlos Alberto, Beckenbauer, i rivali di Messico.

Quel mondiale del Sessantasei portò gloria al Paese ma non molti soldi agli eroi di Wembley. Banksy, come veniva chiamato dai suoi sodali, fu costretto a mettere all'asta la medaglia della Fifa, riuscì a incassare 120mila sterline, gli servirono per comprare la casa ai suoi figli, Wendy, Robert e Julia che sua moglie Ursula, commessa in un negozio di camicie, conosciuta in Germania durante la leva militare, gli aveva donato in sessant'anni di amore, incrinato soltanto durante il periodo americano ma poi rinsaldato al rientro in Inghilterra.

Le mani di Gordon. La sua infanzia, il football. Fu respinto dalla squadretta di Millspaugh dopo aver buscato dodici gol in due partite. Nel marzo del '53 fece un provino per il Chesterfield, poi per settemila sterline passò al Leicester. Nell'aprile del '67 il club decise di cederlo allo Stoke, per far posto al giovane Peter Shilton. Da allora 628 presenze in campionato e 73 cappellini di velluto e coste dorate (segnano le presenze in nazionale), in quindici anni di calcio, il titolo mondiale, l'onorificenza a Buckingham, un ultimo lavoro con il Port Vale, quindi la vita gli ha tolto un sereno tramonto. Il cancro al rene ha preso a tormentarlo ma non gli ha rubato le partite a golf, le passeggiate in riva al lago di Trentham, le serata di gala come narratore di mille racconti. Ieri Wembley ha acceso lo schermo di ingresso con il nome e il cognome del suo eroe, la data di nascita, il giorno della scomparsa.

Il carbonaio di Sheffield ha le mani unite.

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