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Addio Sentimenti, nel mito con tutta la famiglia

Lucidio Sentimenti, detto Sentimenti IV, abbandona la porta e la vita. Stella della Juve, unico grande intruso nel Grande Torino vestito d'azzurro. Portiere rigorista, giocò in A con altri quattro fratelli

Lucidio Sentimenti (Cochi), detto Sentimenti IV
Lucidio Sentimenti (Cochi), detto Sentimenti IV

E' bello morire a novantaquattro anni chiamandosi ancora Cochi. Lucidio Sentimenti, detto Sentimenti IV, abbandona la porta e la vita, vola altrove a raggiungere Ennio, Arnaldo, Vittorio detto Ciccio, fratelli suoi, calciatori tutti di una famiglia di pane e pallone. Se ne va un pezzo grande della storia calcistica italiana, portiere e ala, ruolo ormai trapassato, rigorista e para rigori, freddo, lucido come all'anagrafe, timido e umile, secondo usi e costumi dell'epoca. Faceva il garzone da un ciabattino a Bomporto e scrisse due righe su un foglio: «Ho quasi quindici anni, dal calzolaio guadagno 15 lire a settimana, vorrei giocare, va bene qualsiasi ruolo, anche portiere». Forse è favola, leggenda ma fu la fine di chiodi, martello e suole da riparare, lo prese il Modena e incominciò l'avventura, da portiere, tanto gli andava bene anche quello. Aveva mani solide, il fisico non aveva niente del colosso anche se Gianni Brera gli regalò quest'aggettivo scrivendo di un favoloso Lazio-Milan del '51 quando i Sentimenti, i tre fratelli, fecero tutto in famiglia. Primo, cioè Sentimenti V, portò in vantaggio i laziali, Vittorio pareggiò con un autogol, Cochi parò un rigore ad Annovazzi. Accadevano queste cose in un football dove si giocava per eredità, passione e fame, i Cevenini, i Borel, i Sentimenti.

Cochi fu "estremo difensore" della Juventus, della Lazio, del Vicenza, del Talmone Torino dove concluse, a 38 anni, la carriera, giocando tre partite, senza contratto, gratuitamente per sostituire Lido Vieri infortunato. Mai uno scudetto, mai una coppa eppure una carriera piena di aneddoti e di storie belle. Accadde a Napoli, nel Quarantadue, il Modena affrontava la squadra nella cui porta giocava il fratello di Lucidio, Arnaldo, detto Sentimenti II. Rigore per il Modena, Arnaldo fissa negli occhi il fratello più giovane, Cochi evita gli affetti, calcia e segna, Arnaldo lo insegue rabbioso fuori dall'area. E poi la nazionale, lui unico intruso, juventino, in porta, e dieci granata, il grande Torino vestito di azzurro contro l'Ungheria al Comunale, mese di maggio, giorno undici, del Quarantasette, due gol di Gabetto, uno di Loik; per i magiari Szusa e, su rigore, il colonello Puskas.

Cochi fece anche l'allenatore del Cenisia, club storico di Torino, al civico 12 di via Cesana, era la IV serie oggi, i viola vinsero il campionato juniores e allievi, Dario Borgogno era il segretario generale prima di ricoprire lo stesso ruolo in federazione, Cochi e Pellini a guidare i ragazzi tra i quali Guido Lajolo, ala e goleador prima di diventare reporter di attacco al Corriere della Sera. Teneva la voce bassa, a Natale ci regalò un panettone. Nostalgie. Lucidio Sentimenti, detto il IV, alla Juventus prese ad allenare Dino Zoff. Calciava il pallone accompagnando il gesto e il colpo secco: «Senti come fischia la biglia», Dino si allungava a destra, a sinistra, Cochi indossava una abbondante tuta color del ferro, dalle finestre dell'ospizio di corso Unione Sovietica, i pensionati assistevano all'allenamento, per i giovani cronisti, liberi di stazionare dietro la rete di Zoff, era uno spettacolo quotidiano.

Sentimenti IV ha fatto il giro di onore quando a Torino hanno inaugurato lo Juventus stadium. Portava una bandiera bianconera e tricolore al collo e guardava quella folla che applaudiva anche se non lo riconosceva. Ma di lui sapeva. Cochi è una delle 50 stelle che ricordano la storia della Juventus.

Nessuno potrà spegnerla.

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