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Alessandra, la signora in rosa che fa il "Processo" al Giro

La De Stefano racconta il dopo tappa alla Rai da 20 anni: "Il ciclismo mi ha dato tanto, persino un marito"

Alessandra, la signora in rosa che fa il "Processo" al Giro

Olbia Ama i gialli e non il giallo, la signora in rosa. Alessandra De Stefano è la voce narrante da vent'anni di uno sport che ama profondamente. Dal 2010 fa accomodare nel salotto Rai del Processo alla tappa il ciclismo del Giro. Non li mette al muro e nemmeno sotto accusa o in un angolo, ma cerca di metterli a proprio agio, dopo una giornata di corsa.

È la prima donna che è approdata al Processo, mitica trasmissione pensata, proposta e condotta da un gigante del giornalismo come Sergio Zavoli, ma attenzione a fare paragoni e confronti, la prima a schermirsi è proprio lei. «Zavoli è Zavoli, non scherziamo», ci dice la De Stefano, inviata Rai dal 2000, con 40 grandi giri sulle spalle, di cui 20 a tinte rosa, che mi accoglie nel suo sgabuzzino di un metro e mezzo per due, dove custodisce i suoi abiti, le sue adorate scarpe e anche quel bollitore per il tè che non può mancare tra le sue cose.

Che effetto ti fa essere la signora del Giro?

«Mi fa effetto questa definizione. Io credo che nella professione del giornalista non ci debbano essere differenze di genere: ci sono i giornalisti, punto. Se poi questi sono bravi meglio».

Nessuna differenza di genere: è per questo che non vesti mai la gonna?

«Sono su un palco, meglio un buon pantalone. È una questione di rispetto e stile. Tutto qui».

Quindi posso chiederti quanti anni hai, come se tu fossi un uomo?

«Certo, ne ho 51 e me ne sento almeno dieci di meno».

Un amore per il giornalismo che arriva da lontano.

«Ho sempre alimentato questo amore, fin dal periodo dell'università. Facoltà di Lettere moderne con indirizzo Storia dell'arte, ho dato tutti gli esami ma non ho mai discusso la tesi. In compenso lavoravo, scrivevo e partecipavo a borse di studio sul giornalismo al femminile. Una l'ho vinta, alla Columbia University, con una tesi su Milena Gabanelli».

Una tesi di genere...

«Oggi non la farei più, allora si doveva fare. Oggi le donne hanno conquistato spazi e occupato posti di rilievo: siamo a buon punto, anche se c'è ancora da fare».

La giornalista di riferimento?

«Anna Maria Ortese. Aveva l'emozione semplice del racconto. Si posava su qualunque cosa con leggerezza e innocenza».

Tra gli uomini?

«Sergio Zavoli, che ho avuto la fortuna di conoscere ad un premio Viareggio nel 1999. Un innovatore inarrivabile».

Parliamo un po' di ciclismo: il momento più difficile professionalmente.

«Purtroppo ce ne sono tantissimi, non ultimo la morte di Michele Scarponi. Ma terribile anche la morte in diretta del povero Wouter Weylandt al Giro del 2011: uno shock. Come terribile è stata la tragedia di Marco Pantani. Pensai persino di smettere di seguire il ciclismo».

Chi ti ha riportato sui tuoi passi?

«Eddy Merckx, il mio campione, il corridore che io ho più nel cuore. Eddy sapeva che mio papà Amedeo, suo grande tifoso e prigioniero nelle Ardenne, era un grande appassionato. Quando gli confidai che volevo smettere di seguire il ciclismo, Eddy mi disse: papà Amedeo non ne sarebbe felice. E così ho scelto di andare avanti».

Il momento più bello che ti ha regalato questo sport?

«Tantissimi, ma ne ricordo uno in particolare, perché conservo ancora il ricordo: un cuore rosa ricamato ad uncinetto. Me lo regalarono delle adorabili signore un po' âgé. La più giovane aveva ottant'anni, le trovai lungo la strada e mi invitarono ad ascoltare le loro storie. Alla fine mi regalarono quel cuore rosa».

Il più divertente?

«Al Giro 2000. Si era a Roma, e mi avevano affidato Pantani. Gli dissi: Marco, mi basta anche solo un gesto. E lui mi diede un morso sul braccio. Ecco, non è un gesto, ma un segno, mi disse».

Ti sei mai innamorata di un corridore?

«No, mai. Però mi piaceva un sacco David Millar. Aveva un dandismo davvero molto affascinante. Eleganza pura».

Giornalisti?

«Me ne sono sposato uno. Francese, inviato de L'Equipe, che di nome fa Philippe Brunel. Ci siamo conosciuti, incrociati e sfiorati al Giro. Poi galeotta fu una Sanremo. Vince Mario Cipollini: è il 23 marzo del 2002. Ho ancora l'accredito con scritto dietro il numero di cellulare di Philippe. È l'uomo della mia vita: intelligente e leggero. Ci siamo sposati nel 2006 e da allora faccio la pendolare da Roma a Parigi».

La passione?

«Per Michelangelo Merisi, detto il Caravaggio».

Più passione o più impeto?

«Sono una da Sturm und drang».

Sei una piccola madame de Stael.

«Molto piccola, ma di sicuro non sono una madame Bovary».

Il sogno?

«Poter andare a vivere nella città che più amo, con l'uomo che più amo, tra le cose e i libri che più amo: Parigi».

A proposito di libri: cosa hai portato per questo Giro?

«Il bacio dei coniugi Arnolfini di Fernando Acitelli.

Un libro delizioso: parte dal celebre quadro di Van Eyck, e affronta temi, personaggi della contemporaneità, dall'angolo visuale di un erotismo raffinato».

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