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All'improvviso uno sconosciuto. E Van Niekerk va ko

Nella finale dei 200 metri il sudafricano battuto dal (finto) turco Guliyev: sfuma la doppietta

All'improvviso uno sconosciuto. E Van Niekerk va ko

Dal reietto all'appestato a quello che non ti aspetti e che un giorno da azerbaigiano diventa turco. Un casino, dunque. I duecento attesi da chi cercava un erede di Usain Bolt danno verdetto crudo: non c'è. Non ci sarà. Piantiamola. Non esiste ancora neppure l'erede di Michael Johnson, l'unico capace, un ventello di anni fa, di vincere 400 e 200. In entrambi i casi, Bolt e Johnson, doveva essere Wayde Van Niekerk a raccogliere il testimone. Gli è caduto. Niente da fare.

Oro mondiale al turco ex azero Guliyev, che per aumentare il disorientamento del pubblico si mette in spalla due bandiere, secondo e felice - difficile capire fin dove - proprio Wayde, il sudafricano di nonna coach Anna Ans Botha che aveva detto «vorrei tornare a casa con due medaglie d'oro» e invece una luccica argento. Bronzo a Richards, atleta di Trinidad e Tobago. Impietosa la lista dei tempi: 20''09 il primo, 20''11 ex aequo per gli altri due. Pensando a Bolt e ai mondiali di due anni fa a Pechino viene male: all'epoca il giamaicano aveva trionfato in 19''55, davanti al reietto fresco campione del mondo dei 100, Justin Gatlin, 19''74. In pratica, fra i due ori ci sono circa cinque metri. Dov'è l'erede, allora?

Non c'è. Punto. Il finto turco (lo è dal 2011) ha vinto tenendo e venendo fuori con un bello spunto all'ultimo, proprio quando sembrava che Van Niekerk stesse prendendo in mano la situazione. Illusione. Ma la gioia finale del campione del mondo dei 400, se vera, testimonia che dopo il ripescaggio del giorno prima, quando aveva conquistato l'accesso alla finale solo per grazia ricevuta da Lemaitre, deve aver temuto persino di restare fuori dal podio o finire sul gradino basso.

Chi invece pare incacchiato è quel furbacchione di Isaac Makwala. All'entrata nello stadio ha ricevuto più applausi del sudafricano, ha salutato il pubblico che pareva Usain, e alla fine, sesto in 20''44, ha persino detto di essere «arrabbiato» con se stesso, «ma anche per quanto accaduto due giorni prima, perché se non avessi dovuto fare due volte i duecento in poche ore, sarebbe stato diverso...». Furbacchione. Non dice che era stato lui a saltare le batterie dei duecento non per virus o appestamenti vari ma per preservarsi in vista dei 400. Poi, sì, per l'allarme virus è andata in scena anche la squallida scena del servizio d'ordine che gli impediva di entrare per gli attesi 400 e le minacce di azioni legali da parte della sua federazione e quindi il 200 solitario e riparatore che tanto ha fatto affezionare il pubblico. La verità? Comunque la si rigiri una brutta storia e un bel furbacchione.

Ecco, siamo passati da un Lampo a un furbacchione.

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