Russia 2018

Messi-Argentina, ennesimo flop. E se fosse l'ultimo?

Con la sconfitta agli ottavi contro la Francia, termina il Mondiale dell'Argentina e soprattutto di Lionel Messi. Che, questa volta, potrebbe decidere di lasciare per sempre la sua nazionale, rassegnandosi a vivere di rimpianti

Messi-Argentina, ennesimo flop. E se fosse l'ultimo?

Possono 65 gol risultare inutili nella carriera di un attaccante? La risposta è sì, se quell'attaccante ha il nome e il cognome di Lionel Messi. Con la sconfitta per 4-3 della sua Argentina contro la Francia agli ottavi del Mondiale, quello che secondo molti è il miglior calciatore del mondo - se non di tutti i tempi - rischia di passare alla storia per le facce opposte della sua carriera: una straordinaria con il Barcellona, condita da 32 trofei; l'altra deludente, con quattro finali perse e mille rimpianti.

La 128esima presenza della Pulce con la camiseta albiceleste potrebbe essere stata l'ultima della sua carriera. Già una volta, nel 2016, dopo avere visto sfumare in extremis il sogno di vincere la Copa America, Messi annunciò il suo ritiro dall'Argentina. Troppe le delusioni, troppe le finali perse, troppe le responsabilità che ricadevano sulle sue fragili spalle, incapaci di reggere la pressione che ribolliva dalle viscere del popolo argentino, affamato di una vittoria che alla Selecciòn manca addirittura dal 1993. Poi il passo indietro, per il bene suo e del suo Paese, che continuava a intravedere in lui le sembianze di Diego Armando Maradona. Ma Leo e Diego sono due mondi distanti. Se il Pibe de Oro fu capace di trascinare una squadra alla vittoria in due edizioni diverse del Mondiale, al massimo la Pulce ha dato il suo contributo per portarla all'ultimo atto. Prima del solito flop.

È successo quattro volte: tre in Copa America (2007, 2015 e 2016) e una ai Mondiali (2014). Una maledizione nata addirittura nel 2005, a 18 anni appena compiuti. Leo non era ancora entrato nella leggenda quando, nell'amichevole contro l'Ungheria, riuscì nell'impresa di farsi espellere. Quel cartellino rosso, estratto forse con eccessiva durezza dall'arbitro tedesco Merk nell'afosa notte di Budapest, sarebbe diventato per Messi il marchio della sconfitta, della sua incapacità di regalare con la maglia dell'Argentina le stesse magie a cui ha abituato il pubblico impugnando la bacchetta da direttore d'orchestra del Barcellona. Ci ha provato, Leo. Ci ha provato con tutte le sue forze, ma una combinazione di sfortuna e deficit di personalità, di capacità di incidere quando il pallone comincia a scottare, gli ha impedito di replicare con l'Argentina la magia del suo Barça, tutto tiki-taka e fantasia.

A questo punto non è da escludere il grande passo: il ritiro dalla nazionale. Questa volta irrevocabile. Un bene per lui e per l'Argentina. Leo potrebbe concentrarsi definitivamente sulla esperienza in Spagna, giocandosi con Cristiano Ronaldo il titolo di calciatore più forte della sua generazione, mentre la nazionale albiceleste non avrebbe più il capro espiatorio su cui scaricare l'onta e il peso delle sconfitte. Come capitato tutte quelle volte che è inciampata sul più bello. Facile prendersela con Messi. Che a questo punto deve guardarsi allo specchio.

E decidere di traslocare una volta per tutte, testa e gambe, in Catalogna.

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