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Al bar coi soldi falsi, nei guai Cala zio d'America nel pallone

Caffè amaro alla stazione di Bologna per l'imprenditore dei resort sottomarini che voleva comprare il Torino, la Salernitana, il Catania e il Portsmouth. Nel trolley aveva 6mila euro falsi

Al bar coi soldi falsi, nei guai Cala zio d'America nel pallone

Cala il sipario sullo “zio d’America” con la fissa delle squadre di calcio: è stato arrestato a Bologna Joseph Cala, italoamericano, autoproclamatosi re degli alberghi sottomarini con un patrimonio da miliardi di dollari (ipse dixit), in predicato di acquistare il Torino nel 2010. Il motivo? Voleva pagare il caffé al bar con una banconota da cento euro, poi con un’altra da 50. False, come i seimila euro che custodiva nel trolley.

L’episodio è avvenuto alla stazione di Bologna ed è bastata la prudenza di una barista nell’utilizzare la macchinetta che verifica le banconote per scoprire che quei soldi erano fasulli. Saldato il conto con degli spiccioli, Cala - come racconta Il Giorno – s’è allontanato ma nel frattempo aveva lasciato una delle banconote false alla ragazza. Che ha allertato la Polfer la quale, a sua volta, ha fermato Cala scoprendo il tesoretto custodito in valigia.

Si chiude così (probabilmente) l’epopea italiana di Giuseppe Cala, detto Joseph, vero e proprio collezionista di trattative per l’acquisto di squadre di calcio in Italia. Tutte finite male. Dal Torino fino al Lecco, passando per il suo brevissimo interregno a Salerno e la tentazione catanese, Cala ha cambiato più casacche di Ibrahimovic. Lasciandosi dietro, spesso, il furore dei tifosi dei club cui s’è avvicinato.

Cala, paglietta in testa e sciarpetta d'ordinanza sulle camiciole sbottonate, è stato tra i protagonisti più folkloristici e pittoreschi della stagione degli (aspiranti) tycoon stranieri interessati al calcio italiano. Prima che i capitali arrivassero sul serio, prima dei cinesi di Inter e Milan, prima di Pallotta e Di Benedetto alla Roma e subito dopo il goffo episodio di Tim Barton, il texano che illuse Bari e i Matarrese.

Nel 2010, Urbano Cairo annuncia di voler vendere il Torino. È stufo delle contestazioni. Si fanno avanti in tanti, tra di loro c’è un tipo curioso che ciancica uno strano italiano, con un forte accento americano. Si chiama Giuseppe Calà, racconta di essere partito cameriere dalla Sicilia per diventare Joseph Cala, top manager negli States. Offre cinquanta milioni all’editore per rilevare il Toro per conto di un non meglio specificato fondo d’investimento. Cairo, poco prima dell’incontro decisivo – a luglio – si defila e decide di restare in sella. E a La Stampa dice: “Vendere a chi? Ai Tacopina, ai Calà? Cerchiamo di essere seri, il Toro non è il gioco del monopoli”.

Non perde tempo, però, Cala. Passano pochi mesi che a febbraio 2011 compra la Salernitana in C. Annuncia di voler allestire il miglior vivaio d’Europa, di “voler mettere delle sedie fin sotto al campo”. Quoterà la squadra al Nasdaq, recupererà soldi, si farà carico di investimenti e dei debiti pregressi. Promette la serie A, che metterà i bilanci online ogni tre mesi, che incontrerà i tifosi ogni volta che vorranno, che sarà in curva con loro e suggerisce di invitarli nella società. Vuole che lo si chiami Joseph e non presidente. Il paradiso, insomma. Iper-presenzialista in ogni televisione, da Sky fino a quelle locali, bacchetta arbitri e addetti ai lavori. Tutti asini, sono. Lui, invece, parla quattordici lingue e da giovane segnava da centrocampo, vanta amicizie (e confidenze) da Maradona.

Durerà solo una decina di giorni, il tempo di trovarsi di fronte alla grana stipendio. E dopo tanti annunci, il precedente proprietario Antonio Lombardi lo stanga: “Non ha cacciato un euro”.

Si presenta come il fondatore della Cala Corporation, società quotata al Nasdaq che si propone come società leader nei settori del turismo e della ristorazione. Fiore all’occhiello dell’azienda sono gli Undersea Resort, alberghi sottomarini, dove riposare e vivere una vacanza a stretto contatto con i delfini e le orche. Lui dice, da tempo, che tutti vogliono comprarglieli da Apple a Morgan Stanley. Ma nessuno vuole costruirglieli. Nel 2007, l’armatore maltese Malta Shipyards glielo dice chiaro e tondo che il progetto degli alberghi sottomarini che “hanno l’obiettivo di mettere insieme le famiglie e i grossi mammiferi marini” non è realizzabile. E lui minaccia ritorsioni al governo.

Dopo i flop con Salernitana e Torino, prova a comprare Como, Ascoli, Casertana, Triestina e persino il Portsmouth in Inghilterra. Chissà perché, le trattative non si concretizzano mai.

Gli credono a Lecco, dove va in scena lo stesso identico copione recitato a Salerno e finisce (male) e dopo pochi giorni.

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