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Basta ipocrisie, le cadute fanno parte del gioco

Nel giorno della festa nazionale francese, la festa ce la facciamo noi. A loro la Bastiglia, a noi il tappone, la maglia gialla e un gran bel pezzo, quasi tutto, del Tour. Quasi tutto, al novanta per cento, perché dopo Froome è fuori anche Contador. Sempre per caduta, cioè per uno dei maledetti incerti di questo durissimo mestiere del ciclista. E come succede tutti i giorni in tutti i campi della vita, per qualcuno che piange c'è qualcuno che ride. Le disgrazie di qualcuno possono diventare le fortune di altri. Per una volta, tocca a noi italiani, nella persona di Vincenzo Nibali, un atleta che con la sua intera carriera non andrebbe certo esposto al Louvre come icona della fortuna.

E allora basta, piantiamola subito con queste stupide facce da funerale. Dopo un'eternità rischiamo seriamente di vincere il Tour, di vincere qualcosa davvero importante in un'epoca di immancabili batoste, e invece stiamo qui a suonarci la marcia funebre per questi poveri rivali eliminati dal tetro sortilegio. Certo che spiace perdersi per strada due avversari tanto prestigiosi. Ma questo è lo sport, questo è il ciclismo. E comunque: non è bieco sciovinismo ricordare come Nibali, prima delle sventure, stesse comunque già davanti in classifica. Diciamola tutta: eventualmente, i Froome e i Contador hanno un motivo in più per chiedersi quanto furba sia questa mania moderna di puntare tutto soltanto su un obiettivo. Lo dicono anche al bar: basta una caduta, basta un raffreddore, basta un ascesso per mandare a ramengo un'intera annata….

Quanta ipocrisia, santo cielo. La leggenda sportiva è costellata di questi accidenti. Fanno parte della sfida. Noi abbiamo nella storia patria l'emblema assoluto della dura regola, l'amatissimo Dorando Pietri, moribondo a un centimetro dalla gloria. E allora cosa stiamo qui a raccontarci, cosa stiamo qui a dire che il Tour di Nibali, se lo vincerà, sarà in qualche modo mutilato, minorato, segnato da se, ma, però?

Al diavolo, le ipocrisie di questo ridicolo fair-play. Le anime belle lo tirano in ballo subito dopo la caduta di Contador: Nibali aspetta qualche secondo per vedere che non sia morto, poi giustamente mette davanti la squadra a tirare, perché quello è il suo dovere. Sarebbe una carognata, questa? Se lo ficchino bene in testa, i politicamente corretti - corrotti - del fair-play falso e cortese: da che mondo è mondo, qualcuno cade e qualcuno vince. Non sarà una caduta di Contador a cambiare questa legge. Ci mancherebbe altro. Nibali non ruba niente, non fa il furbino, Nibali non specula: Nibali si mette giù a uovo e punta dritto il traguardo, senza voltarsi, senza pensare ad altro se non a vincere, perché nessuno si sogni mai di considerarlo un campione col braccino.

Sarebbe ora di piantarla, con queste banalotte poesie del bel gesto: guardiamo nel calcio quante squallide manfrine dobbiamo sorbirci, basta che uno tossisca e subito buttano fuori il pallone. Quelli non sono gesti del fair-play, sono solo furbate. E allora avanti sereno, grande Nibali. Senza rimorsi, senza pudori, senza niente di niente.

Piuttosto, da qui a Parigi vediamo di marcarla stretta, questa sfortuna: a quanto pare, è l'avversario più in forma del Tour.

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