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Blengini, il tecnico dell'ultimo pugno

In estate ha raccolto i cocci dell'Italia del volley e in due mesi l'ha portata ai Giochi. «Ai miei dico che non conta la rissa, conta tirare il colpo finale»

nostro inviato a Busto Arsizio

«La mia Italia deve continuare a picchiare forte». Gianlorenzo «Chicco» Blengini veste i panni di Rocky dopo aver centrato una straordinaria qualificazione alle Olimpiadi di Rio 2016 al primo colpo, con il secondo posto alla World Cup in Giappone. Adesso c'è subito un banco di prova, i Campionati Europei che si disputano in Italia e Bulgaria, al via dal nove ottobre, con gli azzurri di scena tra Torino e Busto Arsizio. Ieri Blengini ha ritrovato il suo gruppo, l'ha scrutato nel primo allenamento e ha mandato subito il messaggio: «Il difficile viene ora. Gli avversari ci aspettano, siamo qui per continuare a tirare pugni. E lavoreremo sulla testa».

Tradotto non si vive di passato cioè dell'impresa dell'Italvolley firmata da un ct in carica da appena due mesi, capace di resettare in pochi giorni una delle estati più complicate tra epurazioni e insuccessi. C'è un timeout che racconta molto di Blengini: sfida decisiva contro la Polonia, azzurri in difficoltà. Lui li scuote: «Non conta quello che succede durante la scazzottata ma chi tira l'ultimo pugno». La squadra rientra e asfalta i campioni del mondo. Eppure Blengini preferisce il basso profilo «i ragazzi avrebbero avuto comunque quella reazione». Forse. Non si prende troppo sul serio perché «nei timeout vado anche un po' a braccio», dice ridendo. Però poi aggiunge «in trenta secondi bisogna essere capaci di centrare il focus». A lui riesce anche per quella gavetta fatta sotto l'ombrello di due grandi come Julio Velasco e Mauro Berruto. È cresciuto un passo alla volta nei club fino alla semifinale scudetto con Latina. Per questo non ha risentito del grande salto: vice di Berruto il giorno prima, ct il giorno dopo. Uno diretto dentro e fuori dal gruppo. Non ha esitato a richiamare due dei quattro cacciati a casa da Berruto alla World League, Sabbi e Zaytsev, il secondo addirittura trascinatore in Giappone. Si è presentato dichiarando di voler fare una grande World Cup. A chi lo considerava un traghettatore, magari è scappato un sorrisino. Ma ha avuto ragione lui. Ha fatto «ricredere» la Federazione anche sul doppio incarico: ct e allenatore di club (la Lube Treia). Umile: «Bravo e fortunato a scegliere in pochi giorni le cose imprescindibili». Non è mai banale come quando gli si fa notare che ha creduto fortemente nel suo gruppo fin dall'inizio «anche se le potenzialità sono un periodo ipotetico non un tempo presente, bisogna svilupparle e farle funzionare». Sofisticato ma al tempo stesso di un'estrema semplicità come la sua ricetta: «L'allenatore deve dare buoni consigli ai giocatori per migliorare e alzare il livello del gioco di squadra». Dice che non c'è differenza nell'allenare in provincia o in nazionale «perché la differenza la fa la qualità dei giocatori, io devo calibrarmi sulle loro caratteristiche».

L'unico momento di incertezza ce l'ha quando «litiga» con una minipalla. Ha una cultura fondata sul lavoro perché «in partita ti porti quello che costruisci quotidianamente, non è che schiacci un tasto e vai». Esigente in ogni aspetto «perché anche un buon riposo aiuta a vincere». Ha confermato il gruppo che ha conquistato Rio per questi Europei, ma manda messaggi a chi è rimasto a casa. «Il campionato deciderà una convocazione prestigiosa». Pensa all'Estonia «le Olimpiadi sono lontane, parlarne toglie energia». Intanto lui è l'unico Ct di squadra già qualificato: «Non l'unico, ma il primo», corregge. Ma di consigli da dare non se ne parla: «Sono contento di poter progettare un'Olimpiade di grande livello». L'allievo che supera i maestri: dopo Berruto può toccare a Velasco.

Con quell'oro che manca sottorete.

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