Brasile 2014

Brasile, quasi dramma: Julio Cesar il suo Cristo

Il Mondiale non è un Carnevale. La Seleçao promossa solo ai rigori

Brasile, quasi dramma: Julio Cesar il suo Cristo

Una luce improvvisa all'uscita della miniera di Belo Horizonte. Il Brasile rivede il paradiso dopo aver temuto l'inferno. Lacrime di liberazione di Neymar, giacciono sconfitti, non umiliati, i guerrieri di Santiago. I rigori sono una soluzione maledetta che nulla ha a che fare con il gioco, con la sfida, con la partita, con lo spirito del football. Due ore di corsa, di gol, di gioia e di paura, due ore vere risolte da un tiro, da una parata, da un palo, Julio Cesar è Cristo, Jara il diavolo.
Il calcio è maligno, undici metri ne decidono la vita o la morte, i portieri diventano ultimi eroi usando le mani in un gioco che le vieta, sempre. I tentacoli di Julio Cesar spengono il sogno cileno, Jara è l'ultimo dei ragazzi di Sampaoli a risvegliarsi dal sogno, il suo destro è zucchero per i campioni di Felipao, cianuro per la ciurma di Sampaoli.
Il Brasile aveva visto topi, draghi, mostri, trappole, nella miniera buia. Hanno tremato gli uomini di Scolari, ripensando all'incubo del millenovecentocinquanta. I guerrieri di Santiago spuntavano da ogni angolo, sudore, lacrime, feriti, Vidal si è arreso per primo, poi Medel, ma il Cile restava in piedi, sfiorando addirittura il bacio della morte con Mauricio Pinilla, naufrago dell'isola cagliaritana.
Due ore di football aspro, il Cile ha mostrato al mondo e al mondiale che le medaglie sul petto non contano quando si è in battaglia, i campioni di sempre hanno capito che la miniera era piena di fantasmi, Sampaoli è l'argentino che ha pensato fino all'ultimo respiro, camminando come un padre in attesa della nascita del figlio, ha pensato, dicevo, di umiliare i padroni del pallone, onore al merito suo e della squadra che ha mandato in analisi i milionari di Rio.
La prima sentenza del mondiale è difficile da accettare per chi sperava nel colpo di scena, confortato dalle immagini di una squadra, quella cilena, tenace, dura, tenuta in vita dal cuore e dalla classe dei suoi «europei», Vidal e Sanchez, di certo.
I gioielli del Barcellona, Neymar e Sanchez, hanno reso preziosa la sfida, il cileno si deve arrendere, l'idolo biondo, di femmine di ogni dove, prosegue la sua corsa verso la gloria e un titolo che vuole fortissimamente. Lui ha segnato un rigore, calciando con la perfidia che a certi campioni è permessa, rallentando prima e accelerando poi la corsa, mandando a coricarsi il portiere Bravo dalla parte opposta.
Il Brasile ha scoperto che il mondiale non sarà un carnevale di coriandoli e samba, sarà dura arrivare alla festa finale, il Cile lo ha svegliato dalla presunzione e dai facili pronostici. Neymar è una premessa di fuoriclasse, nessuno osi paragonarlo a Edson Arantes, Pelè era nero, lo dico a Balotelli, Pelè non aveva capelli tinti, Pelè non aveva dimenticato la sofferenza, Pelè è stato unico, irripetibile. Ma il Brasile ha bisogno di costruire un altro Cristo Redentore, forse ne ha bisogno il calcio di ogni dove, alla ricerca di leggende. La partita di Belo Horizonte ha restituito il piacere e la perversione a chi ama questo sport, la sfida aperta, senza mortaretti, bombe carte, isterie e aggressioni, ha confermato che di football si può giocare e vivere.

Si gioca e si vive fino al tredici di luglio.

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