Sport

Campionato alla volata finale. Ma una partita su 5 sarà inutile

In 9 giornate 90 match: il 20% delle gare non inciderà. E così la Lega deve vendere diritti tv con meno appeal

Campionato alla volata finale. Ma una partita su 5 sarà inutile

Il rush finale della stagione (nove tappe in 58 giorni) sarà forse il meno appassionante degli ultimi anni. Mezza serie A non ha più obiettivi, la Juventus ha messo le basi per il sesto scudetto di fila e viaggia fortissimo come le sei squadre che la seguono e si giocano Champions ed Europa League - tutte insieme hanno già scavallato i 400 punti facendone ognuna più di 50 -, la lotta per evitare la B sembra quasi in archivio per la lentezza delle ultime tre (41 punti totali, non si andava così piano dalla stagione 1994/95) nonostante l'Empoli, la prima delle «salve» sia il peggior attacco del torneo con appena 17 gol e vanti ben 6 pareggi per 0-0. Un terzo dell'intero campionato che sta allontanando sempre più il risultato a occhiali e in generale il segno X (una partita su 5 finisce con la divisione nella posta). E in un campionato che va a più velocità, chi retrocede arriva a guadagnare tra i 10 e i 20 milioni a seconda della stabilità di uno o più anni nella massima serie grazie al «paracadute» che allontana la paura della B.

La conseguenza sarà un venti per cento (18 su 90) di gare inutili a cominciare dal derby dell'Appennino Fiorentina-Bologna di domenica, solo 12 partite di cartello tra scontri diretti per l'Europa, le sfide di Napoli e Roma ai bianconeri e il derby della Mole. In più quattro incontri tra le ultime 4 della classifica che non dovrebbero però mutare lo status quo. Ed è già chiaro che nei weekend del 30 aprile e del 14 maggio, nonostante siano in calendario la stracittadina della Capitale e Roma-Juventus, almeno cinque partite su 10 non sposteranno nulla. Certo, finire noni o decimi farebbe incassare circa 2,5 milioni in più di chi chiuderà nella parte destra della classifica o a ridosso della zona retrocessione, ma non è esattamente un obiettivo per cui lottare. Quindi, torneo alterato nella sequenza e nella coerenza dei risultati.

Il tutto a pochi mesi dall'asta per i diritti audiovisivi della serie A per il triennio 2018-2021 di cui ieri sono state approvate le nuove linee guida. I club, che continuano a essere spaccati sulla riforma dello statuto (la futura governance è il nodo affrontato), una questione che vorrebbero risolvere prima di passare al rinnovo delle cariche, si ritrovano a vendere un prodotto sempre meno appetibile, svalutato dalla sua stessa formula (troppe venti squadre, troppo poche tre retrocessioni). L'advisor Infront garantisce un minimo garantito di un miliardo di euro a stagione, ma i presidenti si augurano di arrivare a 1,4. Magari vendendo meglio i diritti esteri, come fa la Premier League. Che rispetto al nostro campionato offre stadi pieni e più spettacolo.

La riforma della serie A è necessaria, ma ora il taglio delle venti squadre è ritenuto dal presidente Tavecchio «un'utopia». Restano contrari i calciatori che propongono da tempo l'introduzione di playoff e playout. Che come sottolinea il presidente del Coni Malagò «non sono però nella storia culturale di questo sport», anche se pensarli almeno per la retrocessione potrebbe evitare l'inaridimento del torneo.

Che così ha un futuro sempre meno roseo.

Commenti