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Cancellara chiude col botto: è oro nella crono

A 35 anni lo svizzero, che a fine stagione finirà la carriera, bissa il successo di Pechino

Pier Augusto Stagi

Si china con la testa tra le mani sulla hot seat, la poltroncina che spetta a chi aspetta: con il miglior tempo. Anche Chris Froome - l'ultimo a partire - ha un tempo più alto ed è dietro a Fabian Cancellara, il gigante buono del ciclismo mondiale. Si china incredulo e commosso e si lascia andare ad un pianto liberatorio. Lui chino, tutti attorno in piedi, in una standing ovation che è molto più di un riconoscimento ad un uomo e ad un atleta che ieri a 35 anni suonati ha colto il suo secondo oro olimpico nella prova a cronometro, come otto anni fa a Pechino.

Due giri del terribile circuito di Grumari, 54,6 km totali, quattro salite in tutto. Spartacus strapazza e precede l'olandese Tom Dumoulin che nonostante la frattura del radio rimediata al Tour conquista l'argento con 47 di ritardo. Terzo, come a Londra, Chris Froome a 1'02 dallo svizzero (Damiano Caruso, reduce anche da qualche linea di febbre e problemi intestinali, ha chiuso la prova in 1.19'46 al 27° posto).

Un successo in parte anche italiano visto che il ct della nazionale elvetica è Luca Guercilena, milanese doc, ed è seguito dallo Sport Service Mapei di Olgiate Olona dove un giovanissimo Cancellara ha iniziato la sua carriera da professionista. «Sono felicissimo per Fabian, perché dopo tanta sfortuna si meritava di chiudere in bellezza una carriera stupenda», ci dice un raggiante Giorgio Squinzi, che di Fabian è sempre stato tifosissimo.

Cancellara ha stravinto usando la regola ferrea delle cronometro: partire fortissimo, continuare forte e finire fortissimo. Sembra facile, ma non lo è. Miglior tempo al primo intermedio. Perde qualcosa dall'ex primatista dell'Ora, Rohan Dennis. Ma Fabian, svizzero di Berna, con sangue italiano, ha fatto un vero e proprio capolavoro tra il secondo e il terzo intermedio recuperando 42 e passando di nuovo al comando. E visto che le disgrazie non arrivano mai da sole, per l'australiano poco dopo è arrivato anche un problema meccanico: rottura dell'appendice sinistra che lo costringe al cambio del mezzo e chiuderà la sua prova al quinto posto.

Una carriera da incorniciare, quella di Fabian, che ieri si è arricchita dell'ennesima gemma. Nel suo paniere c'è di tutto e di più: 29 maglie gialle, una Sanremo, tre Fiandre, tre Roubaix, sei mondiali tutti contro il tempo. Ora due ori e un argento olimpico (prova su strada, sempre a Pechino). Quest'anno sognava di vestire almeno per una volta la maglia rosa, l'unico simbolo di un grande Giro che gli mancava, ma un virus intestinale l'ha messo ko.

L'Italia ce l'ha nel cuore e appena può ci viene. «Sono figlio di emigrati italiani in Svizzera. Papà Donato si trasferì a Berna per fare l'elettricista dalla Basilicata. Cerrito, una frazione di San Fele: le mie origini sono proprio lì. Giuliana e Elina, le mie figlie, hanno nomi italiani. L'Italia è nel mio cuore». Corre per la Trek Segafredo e quando a inizio stagione l'abbiamo incontrato lui aveva le idee ben chiare. «Voglio lasciare il ciclismo al top, da vero Spartacus e non da uno qualunque», ci disse. Chiude da campione: come i campioni.

Veri.

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