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Cecchinato spezza Djokovic La storia diventa leggenda

Marco piega in 4 set il serbo: un azzurro dopo 40 anni in semifinale di un torneo dello Slam. Ora sfida Thiem

Cecchinato spezza Djokovic La storia diventa leggenda

Quando le favole sono senza fine diventano meravigliose. E quando quel che restava di Novak Djokovic ha visto morire sulla riga la palla che lo aveva appena passato, il tie-break più bello del mondo regalava a Marco Cecchinato la neverending story che solo il tennis sa raccontare. Un italiano in semifinale del Roland Garros dopo aver battuto il più Cannibale di tutti. Davvero: non ci possiamo ancora credere. Forse non ci crede ancora lui.

«Mi batteva forte il cuore», e figuriamoci a noi tutti che eravamo in apnea aspettando il punto impossibile, quello che ha regalato al tennis italiano un semifinalista di uno Slam 40 anni dopo Barazzutti: «Tanti anni di sacrifici, di palestra, allenamenti, alimentazione: adesso ho capito perché ne è valsa la pena». Perché all'incredibile non c'è mai fine, soprattutto quando inizi un torneo vincendo al primo turno 10-8 in rimonta al quinto set e all'improvviso ti ritrovi tra i primi quattro del mondo nel tempio della terra battuta. Eri uno sconosciuto, ora tutti sanno chi sei. Perfino Brad Gilbert - il guru mondiale dei coach - ti ha trovato il soprannome: The Chechinator.

È stato un pomeriggio da non dimenticare mai, un match appunto da favola per come Marco l'ha impostato, l'ha quasi vinto, l'ha quasi buttato via per riacciuffarlo nel modo più bello. Djokovic non è quello che fu, l'uomo che non sudava mai adesso corre a bocca aperta cercando fiato. Eppure in fondo è comunque sempre lui, il Djoker. E nei primi due set è stato messo sotto da un tennis coraggioso («sì, lo sono stato») e creativo, con quel rovescio dipinto che fa di Cecchinato l'erede designato di Guga Kuerten, il brasiliano venuto dal nulla che vinse tre volte qui a Parigi. Due set per sognare, quasi due per rischiare: in mezzo anche warning per qualche parola di troppo dal box e perfino un punto di penalità per aver lasciato il campo senza chiedere all'arbitro. E quando al quarto Novak è avanti 5-2, tutto il mondo ha pensato che comunque la rimonta è praticamente inevitabile. E invece: 6-3, 7-6, 1-6, 6-6, con il serbo che aveva servito per il set, ma si era fatto riprendere. Una volta - pensa Marco - non sarebbe successo. «Adesso invece devo capire cosa non va - spiegherà Djokovic -. Forse non giocherò sull'erba».

Il coraggio per Cecchinato è cogliere l'attimo, riuscire a non buttarlo via per restare immortale. Così sarà Marco dopo il tie-break decisivo, che è stata la somma di come si gioca a tennis: doveva esserci un vincitore, era quasi un peccato che dovesse essere così. Tra passanti, rovesci disegnati con il goniometro, stop volley sulla riga, set point in serie per Djokovic, match point thriller per Marco.

È al quarto che Cecchinato dipinge quel passante meraviglioso e si getta piangente sulla terra: l'abbraccio, i complimenti con il sorriso di Djokovic («Giusto così, abbiamo vissuto insieme un grande momento») aggiungono straordinarietà a una giornata straordinaria: «Davvero, in questo momento non so più dove mi trovo».

E adesso? C'è la semifinale con Thiem, un altro match contro pronostico, ma che importa («L'ultima volta l'ho battuto...»). Perché tutti ricordano quella storia di Kuerten, partito nel 1997 da 66 al mondo (Cecchinato era 72) e finito con la prima delle sue tre Coppe dei Moschettieri in mano. Anche allora dicevano che certe cose succedono solo nelle favole.

Ma così non è: e il finale è ancora tutto da scrivere.

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