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Cesare e quelli della Bussola Che canzoni dopo il pallone

Maldini si intendeva di musica quanto di calcio Quelle serate infinite nel locale storico della Versilia Da Louis Armstrong e Chet Baker a Frank Sinatra

Cesare e quelli della Bussola Che canzoni dopo il pallone

Caro Direttore, è molto probabile che Cesare Maldini, appena arrivato in cielo, sia andato subito ad abbracciare Nereo ed Enzo, suo padre e suo fratello maggiore. E tanti altri amici dovrà ancora cercare e abbracciare: né il tempo gli mancherà, nell'eternità di quel Paradiso che la sua straordinaria vita di galantuomo gli ha fatto meritare. Ma, a un certo punto, quelli del Milan e quelli della Nazionale, e Giorgio Ferrini e Gigi Meroni ancora in maglia granata, e quelli dell'Assassino con Ottavio Gori in testa e tutti i tiratardi che gli hanno voluto bene lo vedranno alzare il capo e guardare oltre il gruppo del suo adorato Club del Calcio. E lo sentiranno dire: «Dov'è Ray? Dov'è Chet? Dov'è Bruno? Dov'è Renato? E Fred? E Mimmo? E Louis? E Frank? Possibile che il Buon Dio non lo abbia voluto solo per qualche peccatuccio?».

Ed eccoli Quelli della Bussola: Ray Charles e Chet Baker, Bruno Martino e Renato Carosone, Fred Buscaglione e Mimmo Modugno. E Louis Armstrong e Frank, sì anche Frank Sinatra, troppo grande perché il Signore non lo chiamasse accanto a sé per sentirlo cantare May Way, la più struggente preghiera laica che sia mai stata scritta («to say the things he truly feels and not the words of one who kneels», non le parole di uno che si inginocchia). E Lelio, Lelio Luttazzi, triestino come lui: e, come lui, artista della dolcezza, dell'ironia e della signorilità. E sicuramente gli sorriderebbero. E sicuramente lo accarezzerebbero.

Perché Cesare sapeva tanto di musica quanto di calcio. Perché Cesare quando cantava non balbettava mica. Perché Cesare nella sua Viareggio - in quella Versilia che anche a te piace tanto, Direttore - con l'amore per Marisa aveva trovato anche un'inattesa e celestiale scorciatoia per quel mondo della canzone che adorava. Perché Marisa Mazzucchelli era sorella di Bruna. E Bruna era la moglie di Sergio Bernardini, forse il più grande impresario che abbia avuto questo Paese. L'uomo che la Bussola l'aveva fondata: e che in quel posto magico aveva portato i più grandi artisti d'Italia e del Mondo.

E Cesare alla Bussola ci viveva: prima, durante e soprattutto dopo i concerti. Quando Mina chiedeva le carte e voleva giocare a scopone, quando Frank pretendeva la pasta col pesto, o quando John Charles, centravanti della Juventus, afferrava il microfono a locale ormai vuoto per cantare Sixteen Tons dei Platters appena scesi dal palco. E la vera serata iniziava lì: dalle due in poi.

I Maldini e i Bernardini avevano due villette gemelle nel quartiere Marco Polo. La mamma delle sorelle Mazzucchelli, interista sfegatata, aveva dovuto bere qualche camomilla per tenersi in casa il capitano del Milan, ma quella famiglia che stava formandosi era troppo bella per scivolare sui colori di una maglia a righe. Da quelle due villette entravano e uscivano i cantanti e i calciatori più famosi del mondo. Tutto normale, tutto easy: e certamente non c'erano né bodyguards, né cacciatori di selfie a rovinare quell'altissima eppur così naturale allegria.

Ebbi ospite Maldini nella trasmissione che conducevo su Radio Rai la domenica mattina, nella quale ripercorrevo la vita dei più grandi personaggi dello sport attraverso la loro personale Hit Parade. Scelse - commentandola con una competenza magistrale - una compilation straordinaria: partendo da Smoke gets in your eyes dei Platters e da What a wonderful world di Louis Armstrong; indugiando su E la chiamano estate del suo compagno di innocenti bisbocce Bruno Martino e su Grande grande grande con cui Mina toccò - proprio alla Bussola - i vertici della sua immensità; assaporando la struggente Memory e la dolcissima You might need somebody nella sofisticata versione di Shola Ama e concludendo (fra le risate del suo incredulo e anche un po' ammirato figlio Paolo che venne a risapere la cosa) con le allora relativamente recenti Bad di Michael Jackson e Purple Rain di Prince. Roba da giovani! Perché Cesarone, cavaliere della tradizione, era anche se non soprattutto un grande conoscitore e pastore di giovani. E li sapeva far crescere. E li sapeva far vincere.

«E la chiamano estate, questa estate senza te. E le chiamano notti queste notti senza te, ma non sanno che esiste chi di notte piange te». Sembra appena scritta proprio per il nostro Cesare: musica di Bruno Martino, ma parole di un debuttante Franco Califano. Ecco, sono sicuro che in Paradiso ad aspettarlo c'era anche il Califfo, l'italiano in assoluto più diverso da lui.

E vedendoli cantare insieme abbracciati, il Paron ha solo scosso un po' la testa: poi ha sorriso.

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