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Ciociari contro romani, ecco il derby iniziato 2000 anni fa

Oggi i giallorossi di Garcia sfidano i neopromossi del Frosinone, guidati dal tecnico Roberto Stellone

La curva del Frosinone
La curva del Frosinone

Roma Sud. Autostrada del Sole. Uscita Frosinone, poi dritti fino al Matusa. Non è difficile arrivare, meno di un'ora, sempre che non ti fermi alla Macchia, autogrill sospeso tra Anagni e Ferentino. Eppure per i romanisti sarà come viaggiare in terre sconosciute, con quell'aria di chi oltre i Castelli si sente straniero e padrone. Per romani e romanisti il Lazio non esiste, anche se molti di loro sono arrivati nell'Urbe da lì e al massimo la domenica si avventurano a Nord, verso la Tuscia. A Sud comincia il Sud e gli viene il mal di testa. Solo che adesso per la prima volta c'è una terza squadra laziale in serie A. Non è un derby e non è neppure come Milan o Inter che giocano con il Brescia, il Como o l'Atalanta. Non è capitale contro provincia. È scontro antico di contaminazione e orgoglio. I ciociari, per esempio, vorrebbero Roma fuori dal Lazio. Non è che non la amano, ma la vogliono diversa, come un distretto, come Washington Dc, come un bellissimo mostro da tenere fuori dalle porte di casa. La ragione è che Roma è grassa, vorace, prepotente, magnona e magnaccia, ingombrante, e incapace di riconoscere che nel sangue di Roma c'è il lavoro e il coraggio dei ciociari. Ma come fai a spiegare ai romani che Marcello, quello che guarda Anitona fare il bagno nella Fontana di Trevi, non è romano? «Marcello, Marcello, come here». Marcello, Marcello Mastroianni, nato a Fontana Liri e genitori di Arpino. Neppure Vittorio De Sica: «Io in verità sono nato a Sora, una cittadina tra Roma e Napoli». E non è certo romano Nino Manfredi e neppure quel gran signore di Tommaso Landolfi. È altrettanto inutile ricordare che a salvarli dai germani fu Caio Mario, homo novus di Arpino. Sì, esattamente come Cicerone o come Agrippa, il generale che fece grande Augusto e per regalo ci ha lasciato il Pantheon. Avete presente?

Ora è chiaro che i ciociari, testardi come sono, si sentono parte della grandezza di Roma. È dai confini che arrivano le idee nuove. È da lì che arriva il coraggio di cambiare il mondo. È la forza del pensiero divergente, quello che ancora non si è adeguato al sonnecchiare delle terrazze romane. È per questo che la Ciociaria non ha paura di stare in serie A, perché in qualche modo c'è sempre stata. Roma è già stata sua, magari con il cinismo di Giulio Andreotti, con i conti di Antonio Fazio, con la filosofia di Tommaso d'Aquino e la satira irriverente di Giovenale o con le colonne sonore di un ciociaro d'origine come Morricone. I romanisti tutto questo non lo sanno. Non sanno nulla di equi, volsci e sanniti. Non sanno nulla di Frosinone e neppure di Anagni, di Arpino, di Aquino, di Alvito o di Atina. Tutte antiche città con la A nel petto. E allora cosa vuoi che sia una partita? È da duemila e passa anni che quelle terre fanno ricca e grande la città eterna.

Non si gioca mai per lo zero a zero.

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