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Clamoroso al Cibali. Ora è una maledizione

C'è sempre un clamoroso al Cibali e qualcosa di strano accadde già nel Trentacinque, anni così lontani che sono stati ormai dimenticati. Vespasiano Trigona, duca di Misterbianco, era un nobile che decise di trastullarsi con il football così divenendo presidente della squadra catanese. A tre giornate dalla fine del campionato di B ci fu la sfida contro il capolista Genova 1893 e i picciotti non guardarono in faccia quelli del continente: 2 a 0 dopo tre quarti d'ora, Nicolosi il bomber. Nello spogliatoio il duca e la sua corte fecero intendere ai ragazzi che non era il caso di affannarsi troppo, i bilanci della società non permettevano voli oltre l'isola, meglio restare tranquilli e in seconda serie, dunque sul campo scese la calma e finì 2 a 2, genovesi promossi e catanesi felici ma con aricchi che friscavano .

La storia del Catania è come l'Etna, in eruzione improvvisa, spettacolare e pericolosa, magica e poi paurosa. La morte di Filippo Raciti, ispettore di polizia, nel derby contro il Palermo, è una cicatrice che non si è chiusa, come quella del tifoso messinese Antonio Currò colpito a morte da un petardo lanciato dagli ultras catanesi, senza testimoni mai, da sempre, per sempre. L'enciclopedia del football prevede addirittura la voce Caso-Catania, fa giurisprudenza, fa letteratura, fa vergogna. Nel '53 la partita tra Padova-Catania, vinta dai veneti, finì in tribunale, i siciliani chiesero l'annullamento del risultato per le intemperanze dei tifosi patavini, ci furono due sentenze opposte, alla fine il consiglio federale confermò la sconfitta del Catania che giocò, perdendolo, lo spareggio per la promozione contro il Legnano e in quello stesso torneo il catanese Piram fu contattato dai dirigenti della Lucchese per perdere la partita, i toscani vennero condannati alla retrocessione.

Quarant'anni dopo, era il millenovecentonovantatre, Angelo Massimino il capocantiere che si presentava alle riunioni di Lega con le scarpe sporche di calce, il presidente del «c'è chi può e chi non può, io può», l'uomo che si inventò «i voli charleston», strascicando frasi in puro dialetto, si ritrovò con una montagna di debiti, all'epoca 5 milioni e 987mila lire. Provò a iscrivere la squadra alla C ma la richiesta fu respinta da Antonio Matarrese, presidente federale. Furono gli accenni alla rivolta che sarebbe esplosa 10 anni dopo, nella primavera del 2003. I Gaucci, padre e figlio erano sbarcati sull'isola promettendo l'America, presentarono un ricorso dopo il pareggio contro il Siena: i toscani avevano schierato un calciatore, Martinelli, che, nonostante una squalifica, era sceso in campo nel campionato Primavera. Due sentenze, come nel '53, e Gaucci ottenne la vittoria a tavolino, Catania salvo ma spareggio tra Napoli e Venezia. Non finì così. Fu l'inizio di un'estate folle, il Coni intervenne e annullò il verdetto, ripristinando il risultato iniziale e in contemporanea il Venezia denunciò il Catania per avere schierato, come era accaduto al Siena, un calciatore squalificato ma in campo nel torneo Primavera: sentenza clamorosa, Catania retrocesso in C1, tumulti di piazza, porto e stazione ferroviaria occupati, politicanti in strada, bloccate le partite di coppa Italia le prime due giornate di B, Gaucci vittima, martire ed eroe sull'isola, rivoluzione del campionato, torneo a 24 squadre, ripescate Catania, Salernitana e Genoa, Cosenza fallito, Fiorentina riacciuffata, il caso regnava sovrano al punto che in autunno il Consiglio di Stato diede ragione alla prima sentenza, Venezia-Catania, finita 2 a 0 era regolare e i siciliani avrebbero dovuto retrocedere. Ma i giochi, si fa per dire, erano fatti e nessuno osò avvicinarsi al convoglio in marcia. Antonino Pulvirenti, ultimo dei macchinisti del "treno", dopo la sconfitta del Catania con la Juventus, disse con rabbia giustificata: «Abbiamo assistito a uno scempio, è la morte del calcio».

Baciamo le mani.

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