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Un colpo e centra Rio. Ma il suo pass olimpico va alla campionessa

La Stanco, unica a qualificarsi, ha ceduto il posto alla Rossi che aveva vinto a Londra

Un colpo e centra Rio. Ma il suo pass olimpico va alla campionessa

Pensate a una ragazzina poco più che bambina. Pensate ai suoi sogni che da piccini sembrano più grandi e scintillanti. Ecco. Quella ragazzina aveva quindici anni quando, poco dopo i Giochi di Pechino 2008, scoprì la bellezza di uno sport che l'avrebbe stregata: il tiro a volo. «Ho iniziato a praticarlo convinta che un giorno sarei andata alle olimpiadi, ricordo che feci questo ragionamento: Londra è troppo vicina, ma per Rio 2016 sì, avrei avuto il tempo necessario». Pensate a una ragazzina che cresce e studia lingue e s'impegna come una dannata nel proprio sport, una disciplina che complica la vita per quanto gli allenamenti siano ossessivi e precisi e resi pesanti da una stanchezza che non è tanto fisica quanto psichica. Pensate alla sveglia alle sette, al campo alle 10, alla pausa per mangiare e di nuovo a tirare fino alle 18, e poi a casa a studiare e avanti così cinque giorni su sette per anni e anni. «Parlo francese, tedesco, italiano, inglese e ho studiato anche il portoghese. Perché mi piace e perché a Rio, durante le olimpiade, sapevo che mi sarebbe servito». A Rio, Silvana Stanco non c'è. Non si è fatta male come il povero Gianmarco Tamberi, non è finita nei veleni del doping, non si è persa, anzi, tutto l'esatto contrario. Silvana ha vinto, subito e bene. Di più. Silvana pronti e via ha conquistato, un anno e mezzo fa, coppa del mondo negli Emirati, specialità Trap, il pass qualificazione per i Giochi. Solo che quest'anno ha dovuto cederlo. A una sua compagna di nazionale che invece aveva mancato la seconda carta olimpica a disposizione per le azzurre del Tiro. La vicenda umana e sportiva di Silvana Stanco è la più olimpica delle storie nonostante qui a Rio non ci sia e mai potrà lottare per una medaglia. Non mai, corregge lei, «ci sono riuscita una volta a conquistare il pass per i Giochi, allora lo posso rifare. Nel frattempo inizierò a studiare giapponese visto che le prossime olimpiadi si terranno a Tokio».

La sua voce squillante e dolce racconta con forza e fierezza il gesto più nobile che uno sportivo possa fare: rinunciare non per amore e amicizia, ma per senso del dovere, a un sogno. Silvana è un'eroina nello sport. Ma no, ma no fa capire lei. «Lo prevedono le nostre regole, quando un atleta conquista il pass per le olimpiadi, questo vale come carta a disposizione della Federazione. Sarà poi il commissario tecnico a decidere a chi destinarlo nel caso nessun'altra ottenga l'altra card. Perché avevamo diritto a due pass, ma il secondo, le altre ragazze, non sono riuscite a conquistarlo. Per cui, ad un certo punto, il ct ha dovuto decidere a chi assegnarlo». Albano Pera, il commissario tecnico, poteva lasciarlo alla legittima «proprietaria». Ha scelto invece di destinarlo a Jessica Rossi, la campionessa di Londra 2012, che aveva mancato la qualificazione a Rio ma con il pass di Silvana potrà tentare di difendere il titolo conquistato quattro anni fa a Londra. «Siamo amiche io e Jessica, mi ha ringraziato -riprende Silvana- sì, le cose che ci siamo dette sono cose nostre... Ricordo invece quando in febbraio il ct mi ha chiamato, devo parlarti ha detto, e in quel momento ho capito. Sul momento è stato terribile. Poi, settimane dopo, ho cominciato a metabolizzare tutto, per diverso tempo ho perso ogni motivazione, mi sono lasciata andare... Poi, pian piano, mi sono ripresa. Poche settimane fa agli Europei ho vinto l'argento. Capisco il mio ct, sono le regole, può succedere, però adesso che i Giochi stanno iniziando è tornato a farsi sentire il dolore. Sì, non posso negarlo».

Per Zurigo e d'intorni, perché Silvana è metà elvetica, da parte di mamma Monica, e metà italiana grazie a papà Donato, c'è una studentessa 23enne che si divide fra allenamenti e studio e che oggi dovrebbe essere qui a Rio, dovrebbe essere una dei 297 atleti che sfileranno dietro Federica Pellegrini nella notte della Cerimonia di apertura e invece nulla, al massimo sfilerà con mamma e papà in salotto a guardare gli azzurri dietro la bandiera. «No, no, no» interrompe non infastidita, ma con convinzione. «Non ho mai pensato di andare a Rio con la squadra Svizzera. Anche se avei potuto, sarebbe persino stato facile. Ma sono un'atleta italiana. E senza l'Italia, un Paese ai vertici nel tiro a volo, non avrei mai raggiunto i livelli a cui sono adesso. Semplicemente, riproverò ad andare ai Giochi, ma sempre con l'Italia».

Pensate a un genitore che sa che la figlia ha studiato alla perfezione e passato l'esame ed è stata promossa. Pensate a un genitore a cui dicono però dovrà ripetere l'anno, anzi quattro anni, perché forse è meglio che passi la sua compagna.... «Papà in effetti l'ha presa male, molto male, era più dispiaciuto di me. È lui che mi ha trasferito la passione per il tiro a volo, è lui che tutt'ora mi allena...».Silvana ha uno spiccato senso del dovere. Non appartiene alle Fiamme Gialle tanto per fare l'atleta. In lei si avverte il profondo rispetto delle regole. Ha detto sì all'intervista solo dopo l'ok ricevuto dall'Arma, altrimenti sarebbero stati un sorriso e zero parole: «Se mi sento orgogliosa per quanto fatto? Se penso che fin da quando avevo 15 ho solo lavorato pensando che l'obiettivo era raggiungere proprio Rio 2016 e ci sono riuscita e me l'hanno tolta... Beh, sì, sono fiera e sono a posto con me stessa, perché ho centrato il bersaglio, ho qualificato l'Italia alle Olimpiadi...». Pensate a una ragazzina che sognava Rio 2016, un podio, una medaglia. Pensate che non avrà nulla di questo.

Però pensate che se ognuno di noi racconterà la sua storia a tutte le persone che conosce anche Silvana avrà vinto la sua olimpiade.

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