Brasile 2014

Crisi del calcio italiano, 5 punti da cui ripartire

Crisi del calcio italiano che, lungi dal nascere ai Mondiali, ha radici ben lontane. Ecco cinque limiti su cui lavorare per rinascere ad una nuova competitività.

Calcio italiano è crisi senza fine
Calcio italiano è crisi senza fine

La sconfitta dell'Italia contro l'Uruguay e la conseguente eliminazione dalla Coppa del Mondo sancisce la necessità di ricominciare una volta per tutte da zero; le dimissioni di Abete e Prandelli possono essere un primo segnale di consapevolezza, ma occorre risolvere i 5 principali problemi che limitano il calcio italiano da molto tempo.

Crisi economica: La prima criticità che deve essere affrontata è la crisi finanziaria in cui versano molti club, incapaci di agire sul mercato come una decina di anni fa e costretti a vedersi sorpassare a suon di milioni di euro dai nuovi magnati del calcio, siano essi Arabi, Russi o Cinesi. Da qui la fuga dei fuoriclasse verso lidi più dorati, dove hanno la possibilità di giocare in club infarciti di campioni e in grado di garantire loro un ingaggio impensabile per i grandi club italiani. Per questo le Società nostrane sono costrette a ricorrere ai prestiti o ai parametri zero: ogni tanto può scapparci l'ottimo colpo, ma se le grandi squadre straniere si contendono i Cavani, i Falcao e gli Ibrahimovic, si capisce come la differenza è destinata ad aumentare ancora di più.

Vivai indadeguati: Un secondo difetto da rilevare all'interno del calcio italiano è la scarsa considerazione riservata ai vivai, soprattutto da parte delle grandi squadre. Il numero di tesserati stranieri, negli ultimi anni, è cresciuto notevolmente, tanto che ormai il 10% dei giocatori under 16 è di nazionalità straniera. Inoltre, al contrario di quello che avviene in altri Paesi, in primis la Spagna, le squadre giovanili non riescono a formare giovani da portare in prima squadra, anche per lo scarso interesse del pubblico verso Campionati come quello Primavera. Il calcio tedesco, nei primi anni 2000, ha attraversato un momento difficilissimo, dal quale è riuscito ad emergere grazie ai propri settori giovanili; in Italia bisognerebbe fare lo stesso, ma le fondamenta non sono assolutamente stabili

Assenza di occasioni per le riserve: Da un paio di anni si pensa di introdurre o, meglio, di reintrodurre in Italia un Campionato delle riserve, che già in due occasioni è stato presentato all'interno del nostro calcio, sparendo poi definitivamente nel 1954. Questa soluzione permetterebbe alle squadre di tenere sempre allenati i giocatori destinati alla panchina e di favorire la crescita di giovani talenti, cheavrebbero l'opportunità di scendere in campo con i compagni dotati di più esperienza. In Germania e in Spagna è da diversi anni che sono previsti, rispettivamente, un campionato di riserve e la militanza delle squadre B in un campionato di categoria inferiore.

Diaspora dei nostri tecnici: Ad influire negativamente sul calcio italiano è anche l'abbandono da parte di numerosi tecnici italiani, che si sono recati all'estero per cercare stimoli in campionati più competitivi e che garantiscono non solo la partecipazione alla Champions League, ma anche la possibilità di vincerla (come è successo quest'anno a Carlo Ancelotti). Inoltre, la possibilità di allenare le Nazionali ha portato grandi allenatori del calibro di Fabio Capello e Alberto Zaccheroni a lasciare l'Italia, per non parlare del giramondo Trapattoni, che ha trasmesso la sua esperienza e la sua filosofia a mezzo mondo.

Mancato rinnovamento della classe dirigente: Ultimo ma non come importanza, un grande problema del calcio italiano è la presenza costante degli stessi dirigenti; o, meglio, i dirigenti cambiano, ma quelli nuovi vengono pescati costantemente all'interno di uno stesso bacino, portando le stesse persone a scambiarsi la poltrona.

Questo modo di operare porta ad un immobilismo che non riesce a far evolvere l'intero movimento calcio; è sufficiente pensare al progetto giovani proposto da Sacchi, naufragato ancor prima di poter mettere le radici.

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