Russia 2018

La Croazia che osa dove non arrivò nemmeno la Jugoslavia

La Nazionale unitaria si fermò in semifinale ma incantò Pelè. E se ci fosse ancora adesso...

La Croazia che osa dove non arrivò nemmeno la Jugoslavia

È arrivata dove mai prima aveva osato, e siccome l'appetito vien mangiando, domenica la Croazia potrebbe addirittura salire sul tetto del mondo. Comunque vada a finire la sfida con la Francia, la squadra di Zlatko Dalic conferma l'inesauribile potenziale di una scuola slava che si era frantumata in un pomeriggio di Firenze di 28 anni. Sbriciolata dall'ultimo rigore (fallito) da Faruk Hadzibegic contro l'Argentina, l'incipit della fine della Jugoslavia. Al di là del feroce conflitto, delle pulizie etniche e dei proclami di indipendenza, in questo momento la Croazia rappresenta il riscatto di una regione d'Europa abbonata nel pallone a un "vorrei, ma non posso". La Jugoslavia ha sfornato talenti a getto continuo, ottenendo in cambio solo due quarti posti ai Mondiali (1930 e 1962) e due finali agli Europei (1960 e 1968). Anche in quelle occasioni il cuore croato pulsava a pieni giri. Basti pensare all'ottimo portiere Vladimir Beara, ritenuto tra i migliori numeri uno di sempre, oppure all'elegante regista difensivo Velimir Zajec (che da allenatore ha scovato il piccolo Modric), senza tralasciare il bomber Stjepab Bobek, i fratelli Zoran e Zlatko Vujovic, pilastri della nazionale degli anni Ottanta e l'ariete olimpionico Bernard Vukas. L'elenco potrebbe proseguire all'infinito (Surjak, Ivkovic, Horvat, Buljan, ecc), perché nelle fucine di Zagabria e Spalato sono sempre stati forgiati ottimi giocatori, figli di una penisola balcanica che sembra respirare la stessa aria del futebol bailado di Rio e San Paolo.

E non è un caso che quando a Pelè fu chiesto di designare un'avversaria per la sua partita d'addio con la Seleçao, non ebbe alcuna esitazione, scelse la Jugoslavia. I dirigenti della federcalcio le provarono tutte pur di convincerlo a selezionare uno sparring partner più blasonato. Niente da fare, la scelta di "O Rey" cadde sulla compagine che per storia e natura più si avvicinava alla sua idea di calcio, al suo Brasile. L'incontro amichevole si tenne il 18 luglio 1971, di fronte a duecentomila spettatori, in un Maracanà che traboccava lacrime di orgoglio e di rimpianto. La sfida si concluse sul 2 a 2. Per la sua composizione multiforme e frammentaria, per il particolarissimo mosaico sociale e culturale che ha saputo configurare, la Jugoslavia ha potuto annoverare, tra le tante specificità, una scuola calcistica autoctona rivelatasi un serbatoio inesauribile di piedi educati. Tant'è che oggi, armandoci di fantapolitica applicata al pallone, potremmo persino schierare una rediviva Jugoslavia, dal cuore croato, ma che avrebbe di sicuro ancora più chance contro la Francia del folletto Mbappé. Per cominciare Subasic avrebbe il fiato sul collo del serbo Oblak, guardiano dell'Atletico Madrid. Il montenegrino della Lazio Marusic se la giocherebbe con Vrsaljko, Vida con il serbo dell'Atletico Savic e Strinic con il mancino serbo della Roma Kolarov. Il centrocampo sarebbe samba allo stato puro: Rakitic, Modric con l'asso della Lazio Milinkovic-Savic.

In attacco il bosniaco Dzeko diventerebbe titolare inamovibile, con Perisic e Mandzukic in una sfida doppia con il bosniaco della Juve Pjanic e il serbo dello United Matic. Dove sei Jugoslavia?

Commenti