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Il Palasport di San Siro, ferita profonda 30 anni

Il crollo sotto la neve simbolo del disastro di tutti gli impianti sportivi di Milano

Il Palasport di San Siro, ferita profonda 30 anni

Sono passati trent'anni da quando il geometra Angelo Fedeli telefonò disperato a Tony Cappellari, manager dell'Olimpia Simac che stava entrando nell'età dell'oro, per comunicargli che le foglie nei pluviali avevano sovraccaricato le tensostrutture del palazzone di San Siro e che la struttura aveva ceduto. Panico, promesse mai mantenute, il disastro. Dall'85 Milano è senza un vero palazzo dello sport. Non era contenta neppure di quella bellissima opera, a vedersi, costruita dalla società Condutture Acque, perché il palasport polifunzionale, per essere riadattato ai vari sport aveva difetti strutturali evidenti. Bisognava lavorare giorni per riadattare l'arena che comunque era diventa la dolce casa del basket che sfruttava la vicinanza con lo stadio Meazza per attirare i tifosi del calcio.

Una tragedia imprevista, anche se le scuse dei costruttori sembravano banali, a Milano, avevano detto, nevicate del genere, fioccava da tre giorni, erano una rarità (ma dai...) e la tensostruttura non era stata collaudata per queste emergenze. Polemiche, promesse mai mantenute, sfide a duello per chi, come noi, in questo Giornale , aveva denunciato le colpe di chi aveva fatto il progetto. Per fortuna Indro Montanelli riuscì ad evitarci lo scontro all'alba dietro Sant'Ambrogio.

La sera prima del disastro la Simac aveva vinto in coppa contro il Le Mans, nella stagione dello scudetto vinto poi contro la Scavolini al Trussardi, invenzione del poliedrico Divier Togni con l'aiuto economico di Gianmario Gabetti, impianto che sostituiva il Palalido dove Milano giocò tutto il resto del campionato fino ai play off.

In quei giorni anche l'Inter di Ilario Castagner era stata al Palazzone per un lavoro a secco durante la sosta invernale, tra il pareggio ad Avellino e la vittoria in casa (1-0) sulla Lazio. Per fortuna quando cedette la struttura non c'era dentro nessuno. Purtroppo nessuno ha più potuto entrarvi e le promesse di ricostruzione, garantite dalla ditta che lo aveva edificato, dal Coni, dallo stesso Comune, finirono con altre macerie. Il Palasport fu abbattuto e tornò ad essere parcheggio per chi andava a vedere il calcio.

Un disastro per tutti, anche per la Simac che vinse pure lo scudetto dell'anno seguente, preparandosi poi al trionfo in coppa dell'88. Da quei giorni, quando anche il Trussardi fu smantellato, la Milano del basket è andata in esilio al Forum di Assago che adesso è l'unico campo disponibile per i campioni d'Italia visto che il Palalido, abbattuto e da ricostruire su un progetto Armani, resta un cantiere dove girano spesso fantasmi incompresi, in ritardo sulla consegna, macchia che non sembra visibile nella città dove qualche buontempone voleva addirittura organizzare le Olimpiadi.

Il Comune ha dato l'ennesimo aut aut a chi dovrebbe consegnare il Palalido almeno per la prossima stagione, ma la gente non ci fa più caso. In città, nonostante le mille promesse, si nuota nelle pozzanghere. Non parliamo dell'Arena dove ai tempi della Pro Patria del cavalier Mastropasqua, del geniale Giani della Snia, si organizzava la Nutturna dell'atletica portando ventimila persone.

La storia amara dell'impiantistica cittadina dove il poco che c'era è stato anche bruciato dolosamente come il palazzetto del centro Iseo. Giusto impegnarsi, come ha detto Renzo Piano, per ridare vita agli impianti che già esistono, perché in tempo di crisi economica è assurdo pensare di costruirne nuovi, ma anche nelle ristrutturazioni si va sempre col passo della lumaca come potrebbero testimoniare i tantissimi che frequentano il XXV Aprile, il laboratorio dove Giorgio Rondelli faceva volare Cova e Panetta.

Chi passa dal campo Kennedy, vecchia cattedrale del baseball ai tempi di Gigi Cameroni, quando Milano vinceva titoli non soltanto nel calcio e nel basket, ci resta malissimo.

Vi lasciamo immaginare la frustrazione dei rugbisti in una città dove l'Amatori di Taveggia e la Milano di mister Simpson erano sempre al vertice, dove Bollesan diede vita, nel sogno poi evaporato della polisportiva berlusconiana che comprendeva anche la pallavolo, ad un grande squadra, dove giocò il primatista mondiale degli 800 Fiasconaro che nell'anniversario del suo primato, tornando all'Arena, rimase sconcertato per la desolazione di quella pista.

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