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Nel santuario di Milanello pregherà anche Prandelli

Il Milan spera di essere il capolinea delle Balotellate. E la statua di Rocco proteggerà questo mulo crestato

Nel santuario di Milanello pregherà anche Prandelli

Forse niente accade per caso diceva il leone saggio al più giovane cacciatore. Mario Balotelli leone lo è sempre stato, ragazzo d'agosto che arriva per riscaldare l'inverno di una parte della città, quella milanista, incendiando l'altra, la curva interista che aveva cominciato ad odiarlo anche prima del giorno in cui buttò la maglia sul filo spinato di San Siro. Proprio lui, adesso, ci dirà sul campo, e soltanto su quello speriamo, perché crede nella resurrezione del piede fatato che Roberto Mancini gli pestava volentieri, lasciandolo troppo spesso nell'angolo dei cattivi, dietro una lavagna dove il Mario, nato nel volontariato e cresciuto in una famiglia bresciana che lo aveva adottato, e poi svanito fra bollicine pericolose, scriveva cento volte "perché sempre io?".

Adriano Galliani e il suo pigmalione Mino Raiola, uno che sa come si curano i mal di pancia che poi aumentano il guadagno della ditta, hanno sicuramente fatto preparare a Milanello una stanza vicino al monumento di Nereo Rocco, uno che avrebbe certo parlato a questo mulo crestato, in maniera che potesse capire che oltre quegli alberi avrebbe trovato soltanto gioia se solo si fosse dedicato al pallone, il suo lavoro, la sua arte, il mestiere così ben pagato, dimenticando tutto il resto.
Santuario di Milanello, una chiesa speciale per tanti che soffrivano in altre chiese, per cambiare la superbia e il dispotismo del ragazzo di Borgo Nuovo, per farlo camminare dritto fino al convento azzurro di Prandelli che non vedeva l'ora di ritrovarlo così vicino, che sperava davvero che ci fosse qualcuno disposto a rimandarlo sul campo in pianta stabile, perché se il Milan in rimonta nel campionato ha certo bisogno di lui, la Nazionale che corre verso il mondiale non vedeva l'ora che da Manchester restituissero quello che era diventato, purtroppo, un fantasma.

Il ragazzo che nella sua carta degli arcani maggiori ha quella dell'impiccato ora dovrà liberarsi da solo del cappio. Prima di lui hanno camminato sul ponte dei sospiri che divide il modo di essere calciatore fra Milan e Inter già altri grandi giocatori. Da Angelillo, delizia di Angelo Moratti, goleador del mito, strapazzato e silurato da Herrera, all'Ibrahimovic che secondo le ricette Raiola trova sempre il modo di curarsi un mal di pancia appena vede qualche zero in più sul contratto.
Balotelli che aveva stracciato la maglia neroazzurra sul percorso inverso fatto da Cassano, uno dei pochi che la sua acqua santa l'ha trovata ad Appiano Gentile e non a Carnago, entra nell'inferno travestito da diavolo, negando di essere mai stato serpente. Lo vedremo. Sarà Allegri a cercare in lui quello che Roberto Mancini non è più riuscito a trovare, quello che il Mourinho interista aveva smesso di coccolare quando il ragazzo era diventato un corpo estraneo dentro la squadra costruita per il triplete, dove lo prendevano a schiaffi come confessa Materazzi.

Baci e abbracci, la gioventù smagliante di El Shaarawy, questa la cura per il primo periodo dove tutto dovrebbe andare bene. Non fatelo avvicinare ai ragazzi della primavera dicono con perfidia quelli del City, ricordando le freccette che lanciava contro i più giovani di lui. Tenetelo a Milanello e legatelo alla porta sussurrano quelli che hanno già sentito saltare i tappi di champagne nelle discoteche.
Milan e Milano, in un cesto nuovo, dopo aver lasciato la buccia che faceva sembrare marcia, a distanza, quella meraviglia di calciatore dal tiro potente e dal fisico statuario che ricordiamo bene, nella speranza che si spogli soltanto sul campo, come all'Europeo, e non in altri posti, lasciando perdere le danze sui tavoli, le corse in automobile.
Per arrivare a lui in troppi hanno negato di averlo considerato sempre un rovina famiglie calcistiche, chiamiamola strategia, ma certo l'angoscia resta. Per farlo guarire e rifiorire ci vorrà pazienza, dipende dalla squadra che lo accoglierà e nel Milan di oggi c'è abbastanza gioventù per farlo sentire davvero a casa, ma il ragazzo frenetico che non sa cosa sia la consuetudine dovrà lasciare fuori dalla porta i difetti di fondo che sono tipici dei leoni nati in agosto. Guai se anche al Milan dovessero accorgersi subito che la sua pretesa d'infallibilità potrebbe sfasciare i già fragili equilibri di una squadra rifatta, di un gruppo dove non ci sono più i veterani che un tempo accompagnavano i nuovi chierici verso la fontana della purificazione nel lavoro.

Non sarà un rientro semplice nella città ostile di un tempo. Nel calcio, si dice, bastano due belle giocate, un gran gol a far dimenticare tutto, ma camminare per questa strada sarà sempre molto difficile perché non basterà certo il cordone protettivo degli amici ritrovati, quelli allertati col telefonino molto prima che l'accordo milionario con il City facesse cambiare casacca e, si spera, destino, al Mario Barwuah Balotelli diventato italiano a Lumezzane, giocatore all'Inter, stella in nazionale, ragazzo cattivo per la Manchester dello sceicco che ha investito tanto sul City nel regno dello United.


Super Mario torna in un convento dove sanno come si fa a vincere e a far convivere tanti campioni, ma dipenderà da lui far capire alla gente che niente accade per caso, soprattutto se prenderà a calci la torre d'avorio dove lo avevano chiuso e si mescolerà a quelli che nello spogliatoio portano la sua stessa maglia, rossonera da ieri.

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