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E Pablito ci fece scendere dall’aereo

Magia di una nazionale fantastica, magari meno bella di quella caduta quasi sul traguardo quattro anni prima in Argentina

E Pablito ci fece scendere dall’aereo

Barcellona, 6 luglio 1982

Volevano partire quasi tutti prima di andare al Sarria a vedere il capolavoro di Bearzot e dell’Italia che ha mandato a casa il Brasile. I grandi inviati inseguivano il povero Pisapia che doveva organizzare i voli di rientro dei giornalisti. Lo presero anche per il collo. Non bastava il capolavoro difensivo contro l’Argentina nel vecchio campo dell’Espanyol, l’arena in quella strada che era anche il quartiere nella zona alta di Barcellona vicino alla Villa de Gracia.

Nessuno sapeva che quel giorno avremmo avuto la grazia. Tormenti nelle qualificazioni, verdetto scritto nel girone con le sudamericane. Viva Bearzot e lo dice uno dei non credenti che quel giorno, sulle tribune del vecchio stadio abbattuto nel 1997 si era sentito sperduto perché i “grandi”, a partire dal mio amico e amatissimo Beppe Viola, ci dicevano che dopo le prodezze di Pablito Rossi, il maghetto capace di portarci sul 2-1 al riposo, rendendo inutile il pareggio del filosofo Socrates, i brasiliani ce l’avrebbero fatta pagare, anche per vendicare, si fa per dire considerando la rivalità fra carioca e pamperos, il trattamento che aveva avuto Maradona da Gentile in un ‘altra partita che l’Italia, poi diventata campione, avrebbe dovuto perdere. Fortuna e storia del calcio, ma poi nessuno credeva di aver visto la stella cometa in quei giorni a Barcellona. No, era scritto, si andava a casa e allora dateci un posto sull’aereo del ritorno.

Magia di una nazionale fantastica, magari meno bella di quella caduta quasi sul traguardo quattro anni prima in Argentina, certo una squadra vera, che avevamo anche ringraziato per il silenzio stampa: loro tacevano e allora si potevano scrivere storie bellissime. Nessuno aveva fatto i conti con il Paolo Potter che nel castello incantato volava su una scopa fino a trovare il pallino magico, il gol della vittoria, il suo triplete storico. Vero che i brasiliani si erano arrabbiati, ma erano troppo orgogliosi per accontentarsi del pareggio di Falcao, tu quoque principe di Roma. Volevano vincere. Hanno perso. Ancora lui il Rossi che come un maghetto sbucava alle spalle del centrocampo dorato, per mandarci verso la vittoria fra le lacrime brasiliane. Il giorno dopo eravamo al funerale del Telè Santana, per anni abbiamo sentito questo lamento brasileiro. Tutto registrato negli archivi di questo Giornale fino al lamento nobile di Zico, il re spodestato che anche anni dopo non ha ammesso la sconfitta della presunzione: «Quella vittoria dell’Italia ha fatto del male al calcio, da quel giorno tutti hanno pensato più al risultato che al gioco».

Forse è vero, ma quel giorno ci sembrava magico.

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