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F1, la Ferrari contro i padroni Usa

Vogliono Gp più equilibrati modificando i motori. Il no della Rossa

F1, la Ferrari contro i padroni Usa

Non c'è pace per la Ferrari. Dieci giorni fa ha perso il mondiale costruttori. Due giorni fa quello piloti. Oggi a Parigi inizierà a lottare di nuovo. Stavolta per impedire che i padroni Usa e la loro voglia di cambiamento ledano i suoi interessi. Problema: ma i suoi interessi sono anche quelli di noi tifosi?

La situazione è tesa. Lo si è capito dal ping pong di parole fra il nuovo Ecclestone della F1, il baffuto americano Chase Carey, e il presidente ferrarista Sergio Marchionne. Il primo vuole un effetto Leicester in F1, vuole che possano vincere tutti, vuole che un team geniale e con risorse limitate possa, se non conquistare il mondiale, almeno portarsi a casa dei Gp. Il motivo è semplice: più competizione, più incertezza, più pubblico, più sponsor, più soldi. Il secondo cerca invece di tutelare la storia del Cavallino (vedi il bonus da 68 mln come unico team presente dal 1950), la ricca spartizione dei ricavi e gli investimenti tecnici fatti. Su questa voce la Ferrari ha per alleata la Mercedes, anch'essa attenta a preservare il vantaggio tecnico acquisito.

I padroni americani sono però inorriditi dai numeri: nei 77 Gp fin qui disputati dall'avvento nel 2014 dei propulsori ibridi, 62 li ha vinti la Casa tedesca, 7 la Ferrari, e 8 con quello di domenica la Red Bull motorizzata Renault. Di effetto Leicester all'orizzonte, neppure l'ombra. Oggi, domani né mai. A meno che non si intervenga al più presto. «Al momento ci sono tre squadre, Mercedes, Ferrari e Red Bull, che spendono il doppio e il triplo rispetto alle altre» aveva dichiarato Carey pochi giorni fa alla Gazzetta. «I motori ibridi sono magnifici ma costano troppo e hanno creato disparità esagerate fra team... Vogliamo che la tecnologia resti importante, ma non decisiva». Marchionne, domenica al Mugello, ha ribattuto: «Sono pronto a parlare di tutto però se cominciamo a far diventare la F1 una cavolata, un affare da centro commerciale, non mi interessa per niente». E ancora: «La F1 fa parte della storia Ferrari e ho tutte le intenzioni di proteggere il suo coinvolgimento nello sport, ma non a qualsiasi costo...». Come dire: occhio che ce ne andiamo.

Oggi a Parigi, presenti la Fia di Jean Todt, la Fom che fu di Ecclestone e ora è di Carey, i rappresentanti dei team (atteso lo stesso Marchionne ma non vi è certezza), si parlerà di motori. L'orientamento è di adottare, per quando scadrà l'attuale accordo, a fine 2020 (ma i progetti hanno bisogno di un paio di anni) propulsori sempre ibridi ma con un turbo aggiuntivo al posto della costosissima unità MGU-H (trasforma in elettricità i gas del turbo); oppure tenerla ma standardizzandone la fornitura affidandola a un produttore unico. Sono simili ipotesi a preoccupare Maranello. Però è proprio questa componente, per complessità e costi, a scoraggiare altri Costruttori dall'entrare in F1. Non a caso, all'incontro non ci saranno solo motoristi già impegnati nel Circus, ma anche osservatori di Case interessate a entrare (Lamborghini, Porsche, Aston Martin, Cosworth).

La posta in palio è chiara. Meno chiaro, bonus a parte, perché certe novità dovrebbero preoccupare più di tanto la Ferrari. In 4 anni e 77 Gp ha vinto sette volte. La rivoluzione potrebbe aiutare.

L'effetto Leicester farebbe bene anche a lei.

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