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Federer è al di là dei sogni E ora attende l'amico Nadal

Era dal '74 che un over 35 non andava in finale in uno slam Roger: "Io e Rafa da ospizio e lui è la mia sfida più grande"

Federer è al di là dei sogni E ora attende l'amico Nadal

«Oddio, mi viene da piangere». Nessuno può spiegare con razionalità perché ad un certo punto della vita ti ritrovi a commuoverti per l'ultimo punto di una partita di tennis e il telecronista di Eurosport Federico Ferrero probabilmente sapeva che eravamo in tanti con le lacrime agli occhi quando il colpo di Stan Wawrinka è scivolato oltre la linea del campo dedicato a Rod Laver, regalando un'altra puntata al sogno chiamato Roger Federer. Federico insomma non riusciva più a parlare al microfono, noi non riuscivamo neanche a crederci davanti alla tv e Roger - anche lui - una lacrima se la stava facendo sfuggire, dopo aver battuto l'amico Stan in 5 set (7-5, 6-3, 1-6, 4-6, 6-3 il punteggio) per tornare a giocarsi una finale dello Slam dopo un anno e mezzo con tanta vita dentro. E no, non è solo perché Federer riappare in finale a Melbourne dopo 7 anni, ma è per quello che lui rappresenta oltre al gesto tennistico, sublime, probabilmente unico nella storia di questo sport.

La psicologia d'altronde spiega il tifo in due modi: ovvero il poter vivere di luce riflessa, così come avere un senso di appartenenza che ti fa sentire come se fossi tu in campo. Vinciamo e perdiamo dunque per interposta persona. Però più semplicemente forse il nostro eroe è quanto noi vorremmo essere nelle nostre passioni spezzate dalla mancanza di talento specifico, e nel caso di Roger Federer non è solo questione di buttare dall'altra parte della rete una pallina. E questione che lui, per molti, rappresenta un Ideale. Il gesto perfetto, l'esaltazione, la sofferenza anche, ma sempre con la speranza che non è mai finita. Perché ancora non è finita.

Roger siamo noi, ed è per questo che quell'ultimo punto perfino un po' banale - un colpo da fondocampo finito lungo - è sembrato il più bello di tutti. Fors'anche perché ad un certo punto Federer la partita l'aveva persa, pur essendo avanti di due set: glielo si leggeva in faccia, lo sentivamo nel nostro cuore. E ci dovrà scusare ovviamente Stan Wawrinka, l'uomo dal rovescio più meraviglioso di sempre, se nessuno all'inizio del quinto set tifava per la sua rimonta, anche se la sua rimonta appariva sempre più probabile. Quando sull'1-1 del parziale definitivo Federer ha salvato una palla break con uno dei suoi miracoli eterni, Stan ha sicuramente capito che non poteva essere lui a rovinare una bella storia con la verità, quella del tempo. E non ha più avuto la forza nervosa di combattere l'inesorabile. «D'altronde lui è il più forte di sempre» ha detto poi. Insomma: Roger Federer, dopo sei mesi di stop che sembravano il prologo della pensione e nonostante un dolorino a una gamba, è tornato a sognare il suo diciottesimo titolo di uno Slam. Lo vede vicino come non mai e per questo è ancora qui a farci credere che nulla sia davvero impossibile nella vita: «Incredibile: ho vinto la partita quando non me lo meritavo più. Davvero non avrei mai pensato di arrivare in finale: qualche mese fa sono andato all'inaugurazione dell'accademia di Nadal e ci siamo messi a palleggiare. Io avevo male al ginocchio, lui al polso: sembrava di essere al gerontocomio. E invece...». E invece se Grigor Dimitrov stamattina (Eurosport ore 9.30) non rovinerà una bella storia, la finale degli Australian Open potrebbe essere quel film di fantascienza che nessuno aveva messo in programma: Roger contro Rafa. Come dice Federer, «lui è stata la mia sfida più grande, io sono il suo primo tifoso: sarebbe irreale».

Di sicuro, aggiungiamo noi, sarebbe commovente.

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