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F1, finalmente Raikkonen Arrivabene

Gp del Bahrein. Vettel sbaglia e delude: 5°. La fiducia del team principal e la strategia Ferrari lanciano Kimi 2° dietro Hamilton

F1, finalmente Raikkonen Arrivabene

I figli sono piezz 'e core . E Kimi è un po' questo per la Ferrari e i ferraristi, tifosi compresi. Piace anche se non vince da un pezzo, piace anche se fino a ieri non vedeva il podio da anni, venticinque i Gran premi dall'ultima volta. Piace anche se nel 2008 e 2009 aveva messo in pista «il fratello meno talentuoso», questo almeno raccontava Montezemolo scherzando sul calo di forma del finnico.

Piace, Kimi, ma non a prescindere. Il ragazzo che ieri in Bahrein ha azzannato finalmente il podio, secondo posto dietro sua Maestà Hamilton (terza vittoria su 4 Gp per l'inglese sempre più leader), si è conquistato sul campo la benevolenza del mondo ferrarista. Perché appena arrivato vinse quello che resta l'ultimo titolo mondiale della Rossa, anno 2007; perché a fine 2010 per far posto ad Alonso gli venne letteralmente indicata la porta oltre che dato un munifico assegno di una quindicina di milioni. Perché se le cose gli vanno male non dice bah e se vanno bene non dice bah.

Personaggio fascinoso Kimi, certamente sopravvalutato in molti aspetti, ma non nella velocità pura. Solo che l'auto deve essere come vuole lui, altrimenti mica si adatta. Pilota che ha sprecato parecchio talento fra le troppe vodka della prima carriera e le divagazioni nei rally. Di lui sir Frank, nel senso di Williams, anni fa disse che «poche volte in F1 arrivano talenti così cristallini... era successo con Senna, poi è riaccaduto con Kimi. Solo che lui si sta buttando via».

Ecco. La Ferrari ha avuto la forza di riprenderlo con sé, quasi fosse un figliol prodigo che però era stato mandato via. E, ora, la gara grintosa di ieri, vedi il sorpasso al via su Rosberg e, poi, il modo delicato da ballerina con cui Kimi ha gestito le gomme, ripagano la Rossa e il team principal Arrivabene di tanta fiducia. Anche perché proprio il boss ferrarista si sta rivelando l'uomo giusto per gestire un tipo come Kimi: lo è per la schiettezza di modi e di parole. Primo a capire che tutto è Kimi eccetto «il freddo Iceman che si dice...», Arrivabene non ci ha pensato due volte nel bacchettarlo quando il ragazzo si è preso l'ardire di dare colpe alla strategia del box in quel di Malesia, sabato di qualifica. Quello stesso box o muretto che ieri, con la strategia sulle gomme medie nel primo pit, l'ha di fatto issato sul podio. Non solo. Arrivabene, sabato, non appena il manager di Raikkonen si era messo a parlare di quanto il suo assistito avesse voglia di rinnovare con la Rossa (l'anno scorso meditava il ritiro, ndr ), aveva subito puntualizzato nel suo stile pane e salame ma decisamente efficace che «Kimi se lo deve meritare e deve spingere». E Kimi ha spinto. «Per cui adesso» confida il team principal sotto il podio, «vado a godermi quel ragazzo lassù...». Cose belle.

La gara del Bahrein ha raccontato questo, ma anche di una Mercedes e di un Hamilton che hanno qualcosa in più rispetto alle Rosse e di un gioco di squadra germanico a favore dell'inglese che ha immolato parecchie ambizioni di Rosberg alla fine terzo. Segno che il Cavallino ora fa paura e non c'è più spazio per il «liberi tutti di combattere» dello scorso anno. Il Bahrein ha purtroppo raccontato anche altro, e cioè che Seb Vettel non è Schumacher. Che, va detto, non sapeva superare bene come Sebastian, ma quando c'era da tenere ritmo e concentrazione per assecondare le strategie del box non sbagliava una virgola. Due, invece, gli svarioni del tedesco. «Dobbiamo accettare che in questo momento loro sono più forti» ha infatti confessato, «però io ho commesso due errori e in entrambe le occasioni ho perso la posizione che avevo guadagnato ai pit su Rosberg». In uno di questi è infatti andato largo, danneggiando l'ala e, causa sosta in più per sostituirla, gettando alle ortiche strategia e gradini alti del podio. Diverso da Schumi anche in altri aspetti Seb, come la sincerità con cui alla fine ha sintetizzato la sua giornata: «Buona la macchina, buona la gara del team... non la mia».

Chapeau.

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