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Da Francesco a Di Francesco. C'è vita alla Roma pure senza il 10

I risultati del nuovo tecnico fanno "dimenticare" l'addio di Totti

Da Francesco a Di Francesco. C'è vita alla Roma pure senza il 10

Il 29 maggio, quando Francesco Totti fu costretto ad appendere gli scarpini al famoso chiodo, molti romanisti celebrarono, insieme all'addio agonistico al giocatore più forte e amato della loro storia, anche il funerale della Roma. Che non solo non sarebbe stata mai più la stessa - e su questo avevano ragione - ma che, in quella prospettiva malinconica da fine impero, non sarebbe più stata in grado di ripetersi ai livelli degli ultimi anni. Se ne andava, insieme a Totti, anche il suo grande nemico Spalletti e il tradimento dell'allenatore con l'Inter milionaria dei cinesi veniva vissuto dal mondo giallorosso come un passaggio di testimone nell'inseguimento al primo passo falso della Juve.

Se il capitano e l'ultimo mister capace di far aprire la bacheca di Trigoria per accogliere nuovi trofei avevano fallito nell'impresa, che garanzie dava una squadra orfana del suo leader, costretta a vendere Salah e Rudiger per fare cassa e guidata dall'ex mister del Sassuolo? Dopo molte estati euforiche e gonfie di proclami questa stagione era iniziata con un insolito basso profilo e con la telenovela Totti che proseguiva: farà davvero il dirigente o continuerà a giocare in Giappone? Si darà alla televisione insieme alla moglie Ilary? Si dedicherà alla sua scuola calcio e a veder sbocciare la carriera del figlio Cristian?

Poi Francesco si è deciso a mettersi in giacca e cravatta ma nemmeno l'esordio fortunato a Bergamo era servito a spazzare via quella coltre di scetticismo. La sconfitta (peraltro immeritata) contro Spalletti e poi quella col Napoli sembravano aver detto che quest'anno le sfidanti della Signora erano altre, e nemmeno tre vittorie consecutive per 1-0 avevano intaccato questa rassegnazione: gioca male, la Roma, fatica a segnare. Non è più quella che era. Ed Eusebio Di Francesco continuava ad essere guardato con un misto di affetto - è pur sempre un ex campione d'Italia - e sfiducia.

A cambiare l'umore della piazza è stata la grande notte di Champions col Chelsea bissata a cinque giorni di distanza dal poker di Firenze, eppure qualcuno già da tempi non sospetti aveva iniziato a credere in questo tecnico cortese ma determinato, propositivo ma pragmatico: i suoi giocatori. Ai quali era stato presentato come l'allievo di Zeman e che invece hanno scoperto altro. Tanto per dirne una, il boemo non ha mai avuto la miglior difesa del campionato. Tanto per dirne un'altra, non ha mai infilato 5 vittorie di fila fuori casa (e con le 7 lasciate in eredità da Spalletti la striscia si è allungata a 12, un record assoluto).

In silenzio «DiFra» ha ridisegnato la Roma cambiando ruolo e modo di giocare a campioni come Nainggolan e Dzeko e coinvolgendo tutti nel suo progetto: Gerson è solo l'ultimo passato dal dimenticatoio alla copertina. Soprattutto è riuscito a ridistribuire le responsabilità che prima pesavano quasi solo su Totti. C'è vita anche dopo la sparizione del numero 10, c'è una Roma finalmente liberata dal declino del suo simbolo che fa tremendamente sul serio. E adesso, insieme ai punti, stanno arrivando anche le scuse dei miscredenti..

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