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Furino: "Col Real la finale non è un sogno"

E sul derby di domani: "Colpa del Toro se ora è meno sentito"

Furino: "Col Real la finale non è un sogno"

TorinoTra poco più di un mese punta a diventare sindaco di Moncalieri, popolosissimo Comune alle porte di Torino: nel frattempo Beppe Furino continua a soffrire e a gioire per la Juve che fu sua (528 presenze, dietro solo Del Piero e Scirea) e con la quale vinse otto scudetti, due Coppe Italia, una Coppa Uefa e una Coppa delle Coppe.

Ora c'è il Real.

«Meglio sicuramente loro che il Barcellona, i cui attaccanti veloci ci avrebbero potuto mettere in grande difficoltà. Sarà importante scendere in campo non appagati e con la consapevolezza di potersela giocare alla pari. Sono ottimista: abbiamo il 50% di possibilità di farcela e non solo perché a loro mancherà Modric. Se avremo la fame giusta, la finale non è un sogno».

Sazi dopo Monaco, risparmiosi in vista del Real, magari sacrificherete il derby...

«Non scherziamo. La Juve deve vincere sempre. E se i cugini vogliono batterci dopo vent'anni, dovranno sudare».

Ha ancora senso pensare alla sfida contro il Toro come a un qualcosa di speciale?

«Sì, anche se la città è più fredda rispetto a una volta. Colpa dei tifosi granata: ai miei tempi erano più sanguigni, oggi forse sono più rassegnati alla nostra supremazia. Se però ci battessero, altro che Superga: andrebbero a piedi chissà dove».

Che sfide erano, quelle degli anni '70?

«Sentitissime. In città si respirava ancora la tradizione del Grande Torino e quel Toro era più antipatico di tutta la concorrenza. C'era rivalità su tutto: noi vincevamo più trofei, ma nei derby li pativamo. Adesso siamo diventati tutti amici, all'epoca non ci sopportavamo quasi».

Lei e Ferrini…

«Grandissimo centrocampista: avrei voluto alla Juve lui e Bulgarelli, per formare un reparto super dove mi sarei trovato benissimo. Aveva tutto: spessore umano, tecnica, grinta».

Segnaste nella stessa partita, derby di Coppa Italia 1972.

«Evento più unico che raro, per me».

Lei e Graziani…

«Facemmo il militare insieme, ma io ero più grande di lui. Anche se lo negherà sempre, mi chiese di fare in modo di portarlo alla Juve: chiamai Boniperti, ma non se ne fece nulla».

Lei e i tifosi…

«Devono fare il tifo e basta. Ricordo la contestazione quando nel 1976 perdemmo lo scudetto, superati in volata proprio dal Toro. Ci apostrofarono malamente al campo d'allenamento, io ne identificai due o tre. L'anno dopo vincemmo la Uefa a Bilbao e, quando tornammo a Caselle, io scesi dall'aereo con il trofeo in mano. Tra i tifosi che si avvicinarono, riconobbi uno di loro. Mi disse “bravo Beppe, grande Beppe”: gli risposi che se non se ne fosse andato, gli avrei spaccato la coppa in testa».

È vero che Causio pativa il derby più di ogni altra partita?

«Gli altri lo provocavano, lui ci cascava e non capiva più nulla».

Uno juventino di oggi con la faccia da derby esiste?

«Tevez. Ha vissuto emozioni simili in Argentina grazie alla rivalità tra Boca e River: sa cosa significa».

Nostalgia?

«Il calcio è stato una meravigliosa e lunghissima avventura. Le ho prese e le ho date, sporcando tutte le maglie che ho indossato.

Indimenticabile».

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