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Germania-Italia in 5 mosse

Germania-Italia in 5 mosse

Italia-Germania in cinque duelli. Solo alcuni di una sfida da leggenda che vive una storia bellissima e intrigante da decenni. Il viaggio attraverso il nuovo atto di un classico del football mondiale passa dai capitani che cercheranno di mantenere la propria porta inviolata, dai muri delle difese più forti e invidiate al mondo (anche per questioni estetiche), dall'apporto degli acquisiti mai troppo amati in patria, dai terminali offensivi chiamati a regalare il guizzo che può risultare decisivo, dai condottieri della panchina, a caccia di vicendevoli rivincite in attesa - nel caso di Conte - di nuove avventure professionali. Bordeaux come Dortmund o Varsavia o ancora come Città del Messico e Madrid, tanto per citare i luoghi recenti e passati delle partite rimaste nella storia con i successi italiani e i pianti tedeschi. Tutti saranno protagonisti, nel bene o nel male, e tutti potranno dire di aver partecipato a uno degli spettacoli calcistici più belli. Perché una parata o un gol entrano sempre negli annali. Così come le imprese di un ct, mai come stavolta rappresentante massimo (in entrambe le nazionali) della mentalità del gruppo.

De Sciglio: «Nel 2006 sfasciai casa»

«Le urla di Conte le sento benissimo, gioca sulla fascia anche lui...». Scherza Mattia De Sciglio, unico milanista della truppa azzurra in Francia, inserito nella Top 11 degli ottavi da L'Equipe. La sua presenza nella sala stampa di Casa Azzurri ha un che di scaramantico: l'ultima volta fu due giorni prima di Italia-Belgio e guarda caso ieri mancavano due giorni a Italia-Germania... «Nel 2006 la seguivo a casa con amici e al gol di Grosso sfasciammo tutto... Nel 2012 ero in vacanza a Ibiza e festeggiammo lì».

Sull'impiego di De Sciglio contro i tedeschi nessun dubbio, mentre il ct sta studiando al video insieme ai calciatori i punti deboli dei tedeschi. Conte nutre ancora qualche piccola speranza per il recupero di Daniele De Rossi, che ieri - secondo il bollettino medico - ha svolto lavoro differenziato insieme a Candreva. Le probabilità di vedere il romanista in campo sono bassissime e il ct sta provando le alternative (l'ipotesi Parolo regista e Sturaro interno resta la più probabile). Grande lavoro in campo sui movimenti giusti da effettuare: la chiave della partita sarà avere grande attenzione in fase di fraseggio degli avversari, che attaccano in tanti, e allargare subito il gioco in fase di nostra ripartenza. Bisognerà capire quando aspettarli e quando invece uscire in pressing.

Kroos: «Se siete quelli di marzo...»

Passano gli anni, collezionano sconfitte, ma i tedeschi si sentono sempre più forti di noi. Interrogato sulla tradizione negativa che vede la Germania perdente contro l'Italia nei grandi tornei, Toni Kroos replica stizzito: «Perché dovrei avere il complesso dell'Italia? Quante volte ero lì? È vero non abbiamo mai vinto e non è possibile cambiare le cose, ma ora quello che conta è la partita di sabato». «Certo - ammette - la vittoria contro la Spagna mi ha un po' sorpreso. L'Italia è una squadra molto compatta che, con calma, costruisce l'azione da dietro. Lo fanno da anni e forse è anche per questo che contro di loro è sempre complicato giocare. Ma vedrete in campo che tattica useremo per batterli, io sono ottimista». La fiducia nasce dall'ultimo precedente: il 4-1 di Monaco nell'amichevole del 29 marzo: «Non penso che ci sarà molta differenza con quella partita anche se questo è un quarto di finale di un Europeo. Khedira? Parlerà con Löw, può essere utile». In conferenza c'era anche Jerome Boateng. Il forte centrale del Bayern ha rassicurato sulle condizioni del polpaccio: «Problema superato. Non mi importa del possibile cartellino (è diffidato), affronterò questa partita come ogni altra».

Le cinque mosse

Il passato a centrocampo unisce Bonucci e Hummels

Primi baluardi dei portieri, muri invalicabili, ma anche direttori d'orchestra del reparto. Hummels e Bonucci sono tra i migliori difensori visti in Francia, ma il calciatore appena passato dal Borussia Dortmund al Bayern di Ancelotti nei sondaggi di alcune riviste femminili è stato anche votato come uno dei più affascinanti di Euro 2016. Fisico statuario, sguardo penetrante e un sorriso che conquista, più di 600mila follower su Instagram, già in Brasile fu Mister Mondiale. In Germania è stato spesso paragonato a Beckenbauer, ma lui ha detto di ispirarsi a Piquè, appena mandato a casa dai nostri azzurri. «Mi onora essere accostato alla Bbc azzurra, la migliore difesa al mondo, ma non sento di vivere un trauma-Italia, il passato è passato e a marzo abbiamo vinto 4-1», così il difensore 28enne che nelle giovanili tedesche giocava anche da mediano e che con l'Italia festeggerà la 50a presenza con la nazionale.

Dall'altra parte del campo Bonucci, al quale mai come stavolta sarà affidato il compito da far partire la manovra dell'Italia in assenza di un vero e proprio regista. Anche lui era nato come centrocampista centrale come il collega tedesco (da qui la sua attitudine a leggere il gioco). Un anno più vecchio di Hummels, si può definire uno dei pupilli di Antonio Conte. Lui più che bello, è un cattivo e in campo concede poco agli attaccanti avversari, tanto che quando deve fermare un avversario non va tanto per il sottile. Toccherà anche a lui scrivere un nuovo capitolo azzurro di una storia che finisce allo stesso modo da 50 anni.

Le mani di Buffon e Neuer allo scontro generazionale

Otto anni di differenza e un palmares più ricco per il portierone azzurro, ma è uno dei confronti più interessanti della sfida. Uno, Buffon, è arrivato alla massima serie a 17 anni e in Nazionale a 19, bruciando tutte le tappe e costruendo una carriera quasi irripetibile, pur non avendo in bacheca un titolo europeo (questa è l'ultima chance) e una Champions League. L'altro, considerato da molti il prototipo dell'estremo difensore moderno per la sua abilità nel gioco fuori area, ha invece esordito in Bundesliga con lo Schalke a 19 e nella Nationalmannschaft a 23. Nessun gol al passivo in quest'Europeo per entrambi, anche se Gigi ha giocato una partita in meno. «Lui senza dubbio è giovane e bravissimo, ma adesso preferisco accantonare i paragoni e pensare solo alla mia strada, visto che ho 38 anni», ha detto Buffon del collega tedesco. Che è prodigo di elogi su SuperGigi, visto che parla di "modello». «È bello vedere che è ancora nel calcio che conta e che sono arrivato a giocare contro di lui», così Neuer sul numero uno e capitano azzurro.

Tra i due c'è rispetto, anche se a molti non è sfuggito come Buffon alla vigilia del confronto di Champions a febbraio con il Bayern, non abbia dedicato a Neuer particolari attenzioni. I 4 gol incassati a Monaco quest'anno fanno ancora male, così come quelli presi nel doppio confronto del 2013 (con Conte sulla panchina bianconera). È l'ora della rivincita.

Conte-Loew tra gesti e tabù Chi ha imparato la lezione?

Questione di gesti. Che hanno invaso i social con parodie di ogni tipo. Gesti volgari e di cattivo gusto quelli di Joachim Loew, pescato dalla tv a toccarsi le parti intime; gesti teatrali e pirotecnici quelli di Antonio Conte, assatanato in panchina. A volerci ridere su, potremmo dire che il ct tedesco ha voluto esorcizzare la iattura azzurra che per la National Mannschaft dura da troppo tempo e il collega azzurro sta combattendo l'ansia di chi sembra comandare nervosamente i calciatori come se fosse davanti a un computer.

Gesti a parte, si tratta di due animali da campo, bravi e vincenti. Loew, 56 anni, cresciuto in Nazionale all'ombra di Jurgen Klinsmann, del quale ha raccolto il testimone dopo il Mondiale in casa nel 2006. Il primo schiaffo ricevuto dagli azzurri. Conte, appena 47enne, che ha fatto la gavetta come il selezionatore tedesco, si è ritrovato sulla panchina azzurra dopo aver chiuso con uno strappo violento la sua avventura alla Juve. «Lo voleva mio padre», ha confessato il nostro ct, maltrattato con l'Italia a marzo dai tedeschi.

Entrambi vogliono cambiare la storia e fermare il tabù avversario. Loew, diventato campione del mondo due anni fa in Brasile, è stato capace di ridare una mentalità più vincente al gruppo teutonico ed è migliorato nella lettura delle partite in corso d'opera. Il secondo posto di Euro 2008 e il terzo di quattro anni dopo sono per lui uno sprone a far meglio, ma soprattutto ci sono da vendicare i dolorosi ko con gli azzurri del 2006 (semifinale mondiale a Dortmund) e 2012 (semifinale europea a Varsavia). Conte ha maldigerito i tedeschi anche da giocatore: una sola vittoria (con un suo gol, il terzo dei tre) con il Borussia Dortmund nella Coppa Uefa 1995, poi solo delusioni, le ultime da tecnico juventino nel doppio 2-0 di Champions nel 2013 con il Bayern Monaco. Comunque vada, a Bordeaux uno dei due si prenderà la rivincita.

La fantasia di Eder e Ozil valore aggiunto che divide

Nella Germania multietnica, avere un giocatore oriundo è ormai la normalità. In casa azzurra, invece, ogni qual volta si attinge da calciatori con discendenti italiani, si storce la bocca. Ozil, 28 anni, anche lui come Neuer prodotto delle giovanili dello Schalke è turco - i suoi genitori arrivavano da un città del nord del paese e il papà gestiva una locanda a Gelsenkirchen - con passaporto tedesco di terza generazione. Musulmano praticante, parla quattro lingue. «La tecnica e il sentimento per il calcio provengono dalla mia origine turca, disciplina, atteggiamento e il mettere la testa su cosa fare vengono invece dalla parte tedesca», ha dichiarato qualche tempo fa Ozil. Finito nel mirino dell'estrema destra: «Va a La Mecca e non conosce l'inno Deutschland uber alles. In più non ci risulta che Mesut segua le leggi della Sharia: le donne con le quali si fa vedere in pubblico non portano certo il velo».

Il trentenne Eder, nel momento in cui ha scelto l'azzurro dopo cinque anni di doppio passaporto brasiliano e italiano, ha provocato subito le polemiche infinite sugli oriundi nella nostra nazionale. Il bisnonno di Nove, provincia di Vic

Il bello e il duro del gol Pellè e Gomez a sorpresa

Il bello contro il duro. Diversi nel modo di intendere il ruolo del centravanti, ma entrambi allergici al campionato italiano. Di sicuro Graziano Pellè e Mario Gomez, praticamente coetanei (il tedesco è nato cinque giorni prima dell'azzurro e sempre nel 1985) sono due bomber ritrovati grazie alla cura dei loro ct. Uno segna a tempo scaduto per chiudere le gare (come Zidane ha segnato due reti dopo il 90' all'Europeo), l'altro le apre colpendo a freddo nel primo tempo.

Pellè è il girovago per eccellenza del nostro calcio: sei stagioni in Olanda tra Az Alkmaar e Feyenoord, poi due al Southampton in Premier League dopo l'aveva portato Ronald Koeman salvo poi accantonarlo nell'ultima parte della stagione. «Ma il lavoro alla fine paga», il suo detto che ricalca perfettamente il credo di Conte. Per il quale lotta e suda in campo, partendo lontano dall'area per aiutare la manovra e la squadra a salire. In pratica un difensore alto degli azzurri. Gomez, padre spagnolo e madre tedesca, ha vissuto tanti anni in Svezia. Asso del Bayern Monaco, tipico centravanti statico in area, nel suo transito alla Fiorentina ha lasciato una traccia minima e pochi rimpianti: appena sette gol in due stagioni e un pesante ingaggio del quale il club viola vorrebbe liberarsi (ora lo vorrebbero negli States, ma gratis). Rifiorito in Turchia, con convocazione anche per assenza di alternative come punte di ruolo, in Francia è tornato a segnare in Nazionale dopo quattro anni, un segnale anche agli azzurri. «È l'ora della rivincita», ha tuonato la punta.

Il rischio è che si scotti ancora.

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