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Gigi, l'orgoglio dietro l'addio «Non mi sento ancora finito»

Lascia la Juve e gli sceicchi del Psg gli offrono 8 milioni Rifiuta la Nazionale e ripensa all'arbitro del Bernabeu

Davide Pisoni

nostro inviato a Torino

C'è tutto Gianluigi Buffon nell'ultimo tuffo. L'addio alla Juventus (e alla Nazionale) si trasforma nella sintesi dell'uomo e del campione. Andrea Agnelli è al suo fianco, il presidente che si fa chiamare per nome dal suo capitano perché una storia fatta più di vittorie che di anni, fa saltare i copioni. E così «Gigi è la persona che più ha frequentato casa mia nell'ultimo anno», rivela Agnelli. E quando gli passa la parola, Buffon tradisce l'emozione: «Con il Verona sarà la mia ultima partita con la Juventus». Nei tre abbracci tra Buffon e Agnelli c'è un rapporto «unico, posso anche dire di amicizia», dice il portiere. Ma non è la fine di un ciclo: «L'unica certezza che ha un tifoso della Juve è la famiglia. Una famiglia che è 95 anni che guida questa squadra». Si parte dalla fine per capire: «La Juve con me è pari. Mi ha dato talmente tanto che un qualcosa in più sarebbe un ulteriore gesto di generosità nei miei confronti». Lo dice a proposito di un suo futuro impegno nel club bianconero, a livello dirigenziale «la proposta più allettante ricevuta».

Ma la tentazione forte è di andare avanti a giocare con l'orgoglio di Buffon che si sente ancora all'altezza anche se «quindici giorni fa ragionavo da ex giocatore». Gli indizi portano a Parigi, al Psg (il Liverpool è sullo sfondo), agli sceicchi che potrebbero soddisfare le esigenze del campione che sono economiche, ma anche tecniche. «Non voglio finire in una squadra di terza categoria, perché sono un animale da competizione». Tutta la fame del campione che vuole ascoltare «ciò che urla la mia indole e la mia natura». Significherebbe passare dalla famiglia Agnelli all'harem dello sceicco pronto con otto milioni di euro e magari con un contratto da un anno più uno. E ci sarebbe stato un contatto con Jean-Claude Blanc, dg del Psg ed ex ad della Juve.

Se dovesse andare avanti a giocare però sarebbe come una contraddizione con l'essere d'accordo con la Juventus nel chiudere la storia. Però la scelta di mettergli Szczesny al fianco, non il solito vice ma qualcosa di più, è stata come mettere in chiaro da subito che sarebbe stato comunque l'ultimo anno. E dalla sua linea la Signora, come già successo con Del Piero, non transige e se ce n'era bisogno Agnelli l'ha ribadito: «Gli eventi di quest'anno non possono e non devono far cambiare quella che è una programmazione di lungo periodo. Quindi, quello che noi sappiamo oggi è che Tek, Szczesny, difenderà la porta della Juventus l'anno prossimo». Un realismo che sconfina nel cinismo. Gigi ha realizzato l'addio alla Juve tra febbraio e marzo «i mesi dell'elaborazione del lutto, i più complicati». Più pesanti di tutto: dalla Svezia al Real Madrid, fino al rischio (scampato) di non vincere nulla. Duro prendere coscienza di dover dire addio pur sentendosi ancora all'altezza. Non a caso in quei giorni sono arrivate le uniche prestazioni non da Buffon: Tottenham e Real Madrid. Cioè la Champions, l'ossessione mai citata, ma che è il convitato di pietra: «Lascio la Juve più forte? Non so perché farei un torto a quelle che hanno vinto qualcosa di più importante». E ancora: «La Juve continuerà a vincere e magari anche di più perché quei traguardi importanti arriveranno».

E poi c'è il Buffon che parla in terza persona, sconosciuto a chi l'ha conosciuto in altri tempi. A partire dal suo grave infortunio alla schiena, quando tutti parlavano «di un Buffon finito. È stata la mia svolta, perché l'essenza della mia vita è trovare una sfida e battersi per quella»; oppure quando racconta «di quel talento straordinario che la Juve prese nel 2001»; o quando torna sulla notte di Madrid «al Buffon dilaniato, che non poteva che dire quelle cose, anche se due giorni dopo avrei abbracciato l'arbitro e chiesto scusa»; e ancora sulla Nazionale «ho detto che se Buffon era diventato un problema tre mesi fa, non oso pensare cosa possa essere ora».

L'Italia è un nervo scoperto. L'addio alla Juve è l'occasione per chiudere bruscamente con la Nazionale: «Non ci sarò per la sfida con l'Olanda. Le persone vanno celebrate da vive e non da morte». Sarebbe la più clamorosa uscita sbagliata del più grande portiere della storia italiana, anche se non gli piacciono le «celebrazioni, da piccolo mi scocciava il compleanno». Può aiutarlo a evitare questa macchia anche il presidente che si fa chiamare per nome.

Quell'Andrea che ammaina la bandiera di Buffon chiamando la standing ovation, una bandiera tentata di sventolare per altri.

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