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Da Gigi Meroni a Zambrotta, quel ramo del lago del calcio

Gli azzurri del Como ritrovano la B dopo 11 anni, il Lario non è solo Clooney. Storie di talenti e di autarchia, qui lanciarono Tardelli e Paolo Rossi

Da Gigi Meroni a Zambrotta, quel ramo del lago del calcio

Il Clooney non lo sa ma il calcio Como è roba da film. Da cento e passa anni ha visto attori, registi, sceneggiatori, produttori di ogni dove. Il George ogni tanto guarda il mondo dall'oblò della sua villa Oleandra a Laglio ( qui de Lay l'è mej pèrdei che truvaj , gente inaffidabile secondo proverbio del luogo) e dovrebbe indirizzare l'attenzione, oltre che sulla sua splendida Amal, anche sul Giuseppe Sinigaglia, al civico 3 dell'omonima via. Qui è stata scritta la storia del football, italiano non yankee, al Sinigaglia, podista, atleta del remo, lanciatore del disco ed eroe caduto sul monte San Michele negli ultimi fuochi della Grande Guerra, fu intitolato lo stadio che il Duce volle e fece progettare dall'architetto Giovanni Greppi, lo stesso che realizzò il sacrario di Redipuglia. Il terreno dello stadio venne donato dal podestà Carlo Baragiola e in un anno e mezzo, come accade nei tempi attuali, fu completata la costruzione dell'impianto, dotato di pista ciclistica e podistica. Qui il lago, qui lo stadio, il pallone a raccontare, dopo la pila di Alessandro Volta, un'altra storia.

Si andava a Como per sentire il primo profumo di vacanze o per provare malinconie improvvise davanti all'acqua senza ritmo, Vladimiro Caminiti, poeta di Tuttosport, scrisse, raccontando l'atmosfera del Sinigaglia: «Conto più ombrelli che spettatori». Erano giorni di viaggi allegri e di un buon football, perché sul lago sono passati e hanno vissuto atleti veri di cui, come sempre purtroppo, si è smarrita la memoria e il rispetto. Dall'ora leggendaria in cui al bar Taroni di via 5 Giornate venne sottoscritto l'atto di fondazione, l'anno millenovecentosette, il mese di maggio, il giorno venticinque, passando dal presidente Verga dottor Carlo fino al momento ultimo e felice del ritorno in serie B, dopo 11 anni e le depressioni al confino della Lega Pro. L'album delle figurine concede memorie bellissime, da Giorgio Aebi figlio dell'Ermanno interista a Riccardo Carapellese emigrato da Cerignola al nord, nell'epoca dura della seconda guerra, quando il Sinigaglia venne occupato da nazisti e fascisti e il Como traslocò a Solzago e a Brunate, per poi rinascere, con il Paese tutto, dopo il conflitto mondiale e proteggere la Patria. Per quattro anni, dal '49 al '53, dopo la tragedia del grande Torino, il Como scelse soltanto calciatori nostrani e gli avversari che sbarcavano al Sinigaglia trovarono cartelli che così strillavano: "Italia contro Onu", il Como vestiva di azzurro, dopo il rigatino di inizio secolo e dunque Italia era il suo secondo nome in contrasto con la prima invasione di calciatori stranieri.

Vennero anche quelli, i forestieri, sul lago, dico Dirceu e Hansi Muller che parlava un perfetto meneghino « me fa mal el genoeucc » e Corneliusson e quel Mirnegg, terzinaccio austriaco che Cecco Lamberti, il diesse che se lo ritrovò in squadra, così mi inquadrò: «Bravo, in barriera!».

Direi di Beretta e Gattei prima dei giochi Preziosi dell'Enrico, e di Sandro Vitali e Franco Janich, prima del Gianca, in arte Beltrami che a Como creò la propria fama che poi diventò gloria nella Milano interista di Ivanhoe Fraizzoli. Non si può e non si deve mischiare tutto e allora un attimo di riflessione perché scrivo Luigi Meroni e qui dovrei concludere con la malinconia del suo lago e l'arte dei suoi piedi, così come Stefano Borgonovo e una tragedia senza mai una luce come le altre che ferirono a morte i calciatori passati dal Sinigaglia, con le storie maligne e i sospetti di giudici e giornalisti.

Ma poi l'album propone Nello Governato, prima centrocampista e poi dirigente e scrittore. E Paolo Rossi che qualcuno confuse con Renzo Rossi? E Scanziani detto il ciclista? E Luigi Villa detto el negher (allora si poteva)? E Correnti che sparò una bestemmia all'ultimo minuto di Como-Juventus, Menegali, l'arbitro, interruppe il gioco, fischiò la punizione, calciò Cuccureddu, deviò Fontolan e fu 2 a 2 tra altre bestemmie ma dai gradoni del Sinigaglia fu Giuseppe. Vorrei dire di Nicoletti e poi di Pietro Vierchowod, il primo campione mondiale del Como come Umberto Colombo fu il primo comasco a vestire l'azzurro, e Centi e Tardelli e Zambrotta che è stato nominato presidente onorario e Piero Volpi, elegante libero in campo ed esimio medico di ortopedia e traumatologia, l'uomo che curò e restituì Ronaldo al football. E, ancora, Eugenio Bersellini, detto il fungarolo, con Marchioro da Affori e Seghedoni, Zaso Bagnoli e l'Ottavio Bianchi, Galeone e Fascetti con Tarcisio Burgnich, tutte le panchine minuto per minuto. Così non posso e non voglio dimenticare Giulio Cappelli che, segnalo ai contemporanei e ai distratti, fu allenatore del Como ma soprattutto l'uomo che scoprì e bloccò il ventitreenne Michel Platini per portarlo all'Inter, consegnando una busta della spesa con novanta milioni di caparra ad Aldo, padre del campione, involucro riposto in frigo per evitare rififì.

Tutti questi, e altri che ho dimenticato e ai quali chiedo scusa, sono stati e ancora debbono essere la storia del Como, un film che George Clooney non conosce e che dovrebbe imparare a scoprire dal suo ramo del lago.

Ma oggi c'è la B che è la stazione di transito per passare dalla C alla A, nell'alfabeto e nel calcio. Si sogna, si progetta. Bisogna fare bene e senza chiacchiere.

Come dicono a Como: « intànt che pisa el can, scapa la légur », quando le cose sono importanti non c'è tempo da perdere.

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