Sport

Giordani, cantore del basket e una vita a tutta velocità

Correva in auto in giro per tutti i campi d'Italia: la sua missione era raccontare il boom della pallacanestro

Giordani, cantore del basket e una vita a tutta velocità

Continua il nostro viaggio tra i maestri del giornalismo italiano che hanno scritto le pagine più belle dello sport. Visti da vicino attraverso i ricordi personali di chi li ha avuti come modelli, punti di riferimento, oppure compagni di trasferte o di redazione. Oggi tocca ad Aldo Giordani.

-----

Venticinque anni da quando ci ha lasciato, ma Aldo Giordani, viaggiatore viaggiante, è la voce che ci manca, il genio che ha tolto i sette veli al basket italiano, l'uomo dalle mille invenzioni. Uno che non riusciva a sprecare la notte perché, ci diceva spesso, la vita è così breve.

Sapeva dare una spolverata di paprika persino alle brevi, non si fermava mai, viaggiava veloce come quando era al volante delle sue automobili. Una volta, andando da Porto San Giorgio a Rimini, tornei estivi che erano la fioritura della palla al cesto nazionale, ci fece capire che non aveva senso essere prudenti. Viaggiava veloce, spesso chi sedeva al suo fianco chiedeva di scendere al primo casello, soprattutto se c'era la nebbia che lui aveva deciso di sfidare. Sempre. Se hai fretta meglio correre, finisce prima. Eravamo lanciati, si parlava. Ad un certo momento chiese più attenzione: «Sai, scusa, non ci vedo bene, se vedi un segnale, un vigile, avvisami».

Lui era così. Correva, correva, cercava il brivido, come quando scriveva, come quando faceva le telecronache, pazienza se ad ogni grande manifestazione scuoteva l'ambiente facendo morire prima Castro, poi qualche altro, anche se non era vero. Gli piaceva stupire, raccontava storie, partendo dalla vita dei campioni che aveva incontrato ai tempi del Muro Torto, dove giocava alla luce dei lampioni nel periodo romano insieme al suo fratello di basket Giancarlo Primo, l'uomo della svolta per la nostra pallacanestro dopo il professor Paratore, e a Carlo Cerioni, un campione sul campo, allenatore della femminile, il mondo dove lui, campione universitario, giocatore della Ginnastica Roma del mitico Tracuzzi, era stato anche allenatore campione d'Italia con l'Indomita Roma nel 1949.

Questo cestista nato a Milano nel febbraio del 1924, anno bisesto, ma cresciuto a Bologna, prima di scoprire Roma e, attraverso la radio alleata, la sua vera vocazione professionale, conobbe Francesca Cipriani, azzurra e 2 scudetti, che nel 1953 ne divenne la compagna per tutta la vita. Figli campioni o quasi. Marco che ha fatto strada a Mediaset giocando bene per la Pallacanestro Milano di Pedrazzi e Guidoni, Claudia argento olimpico dello slalom ai Giochi di Innsbruck, i primi della nostra vita professionale per questo Giornale e quando partimmo per l'Austria la telefonata più gradita fu proprio quella del Jordan: «Mia figlia corre, sembra brava, ma se sbaglia non preoccuparti, criticala pure». Era il suo credo, ma in quel caso fu tutto meraviglioso, era l'epoca della valanga azzurra di Thoeni e Gros e quella ragazzina timida che danzava fra i pali fu una meraviglia.

Nella professione ci aveva preso per mano, cominciando dal Guerin Basket, la bibbia, la grande invenzione di uno che sapeva scrivere bene di tutto, dal ciclismo al calcio, ma che non dimenticava mai la missione: accompagnare la palla al cesto italiana verso il boom. Come apprendista in Gazzetta non si poteva firmare. Allora usammo lo pseudonimo Attila Virag, eccellente 400centista e 800centista del Centrale di Roma, ma il capo dell'atletica alla rosea era il grande Alfredo Berra che quel campione lo allevò e non fece fatica a capire. La salvezza arrivò proprio da Giordani che cercò di spiegare che anche a lui era capitato di dover abiurare il basket per poter lavorare meglio. Un padre che sapeva guidare, anche a fari spenti e quando ci volle per collaborare a Superbasket, il vero capolavoro anche se era sofferenza per chi si era inventato i Giganti, trovò un sentiero per mascherare il povero apprendista. Lo aveva già fatto al Guerino in una di quelle serate dove il conte Rognoni, fantasia al potere che tanto ci manca oggi, usciva all'improvviso da un armadio pronto per scrivere, irritato dalla presenza dei cuccioli, aspettando l'Arcimatto di Gianni Breara.

Giordani che vorremmo riascoltare, senza offesa per chi si impegna a farlo dimenticare oggi, ogni volta che va in campo la Nazionale di basket, lui che ci raccontò la finale olimpica di Monaco 1972 dove l'Urss tolse, per la prima volta, lo scettro agli Stati Uniti nella più controversa delle partite dei Giochi, lui che alla Domenica Sportiva trovava spazio e non si accontentava delle elemosine di oggi, lui che venne a Milano chiamato da Bogoncelli, ma non fu mai al servizio dell'Olimpia o del Simmenthal come lo ricordano tutti pensando alle squadre invincibili o quasi.

Nel 2008 è entrato nella casa delle gloria del nostro basket. Lui, di certo, avrebbe trovato il modo di costruirla perché ad oggi tanti sono gli eletti, ma questa casa non esiste. Viaggiatore viaggiante che anche adesso, ovunque si trovi, prenderà appunti. Un pallino o un articolo. Per lasciare il segno.

(15. Continua)

Commenti