Sport

Gold save the queen, il capolavoro britannico

Il programma per il rilancio dello sport è una lezione all'Italia: a podio in 22 discipline

Andrea Cuomo

È il 27 luglio 1996 e l'Olimpiade di Atlanta, l'ultima del Novecento, è al suo ottavo giorno di gare. Steve Redgrave, non ancora sir, e il suo sodale Matthew Pinsent vincono al Lake Lanier la medaglia d'oro nel due senza. Per Redgrave è la quarta medaglia d'oro consecutiva ai Giochi, ma non è per quello che quel trionfo passerà alla storia. Lo farà per essere l'unica medaglia d'oro vinta dalla Gran Bretagna in quel l'edizione dei Giochi. Nei Coca-Colympics non risuonerà più il God Save The Queen. La Gran Bretagna finirà quei Giochi con un oro, otto argenti e sei bronzi vinti in sei sport (canottaggio, atletica leggera, nuoto, vela, tennis e ciclismo) e un 36esimo posto nel medagliere generale, dietro Algeria e (orrore!) Irlanda. L'Italia, per dire, chiuse una delle edizioni più gloriose dei suoi Giochi al sesto posto, con un 13-10-12 e un Pantheon pieno di eroi: Jury Chechi, Valentina Vezzali, Antonio Rossi, Paola Pezzo e il suo décolleté.

Nulla di strano, in fondo. La Gran Bretagna ormai da decenni non era più nazione guida nello sport. Nel dopoguerra il suo top erano stati i 6 ori di Melbourne 1956 ed era rimasta dietro agli azzurri sempre tranne che a Mexico City 1968 (5 ori a 3 per loro) e Montreal 1976 (3-2). Strano è che vent'anni dopo la Gran Bretagna concluda le Olimpiadi di Rio al secondo posto del medagliere con 27 ori, 23 argenti e 17 bronzi, davanti a giganti come Cina, Germania e la Russia pur dimezzata.

Per capire che cosa ha trasformato la Flaccida Albione in una specie di Ddr del Duemila (ma senza doping) bisogna tornare proprio ad Atlanta 1996. Quando si analizzò il flop e si decise di correre ai ripari. In fondo la Gran Bretagna è la patria di origine di quasi tutti gli sport che compongono il programma olimpico, ulteriori brutte figure non potevano essere tollerate. Il governo di John Major nel maggio 1997 istituì l'UK's Sports World Class Performance Programme, un club dello sport d'élite, finanziato con i soldi di una lotteria. Fa impressione vedere il fiume di sterline che ha irrigato il sistema sportivo di eccellenza britannico da quel momento: quasi un miliardo di sterline per ogni quadriennio olimpico. Soldi spesi per sostenere gli sforzi di chi eccelle o dà precise garanzie di farlo in un futuro prossimo. Chi vince attinge all'Athlete Performance Awards e si garantisce un buono stipendio senza ricorrere all'ipocrisia tutta italiana degli atleti con stellette che intascano l'arruolamento nella Finanza o nell'Arma e da quel momento hanno lo stipendio garantito a prescindere dai risultati.

Così la Gran Bretagna sin da Sydney 2000 tornò a vincere: 11-10-7. Poi ad Atene 9-9-12. Il boom dopo l'assegnazione dei Giochi del 2012 a Londra, avvenuta nel 2005. Nuovi investimenti, più efficace scouting per garantirsi un carniere pieno nei Giochi casalinghi. E a Pechino è record, 19-13-15. A Londra, quattro anni fa, la vetta: 29 ori, 17 argenti, 19 bronzi, grazie anche ai bonus arbitrali di chi gioca in casa. Per questo il dato di Rio, anche se inferiore negli ori, sgomenta di più. Anche perché le medaglie sono state vinte in 22 sport, compresi badminton, trampolino elastico e taekwondo. L'onda è alta e lunga. E guai a chi dice che lo sport non è una lotteria.

Gold Save the Queen.

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