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Hamilton ora fa gli scongiuri. Dal 7 all'8 c'è una maledizione

Ha eguagliato nel mito Schumi, in crisi dopo il 7º titolo. Anche Valentino e Merckx stregati. E Armstrong...

Hamilton ora fa gli scongiuri. Dal 7 all'8 c'è una maledizione

Sette titoli mondiali e non volersi fermare. Dopo aver scritto la storia, adesso bisogna sfidarla. Perché spesso il 7 nello sport non combacia con bello. Anzi, in tanti casi il 7 è passato da impresa a maledizione. Lewis Hamilton dopo aver superato Michael Schumacher nei gran premi vinti e averlo raggiunto nei titoli mondiali conquistati, ora ha davanti la missione di addentrarsi nell'inesplorato, di arrivare dove nessuno nella F1 ha mai osato.

Già, perché spesso nello sport il passaggio dal 7 all'8 è stato impossibile, quasi fatale. Lo stesso Schumi dopo il settimo titolo del 2004, iniziò la parabola discendente sulla Ferrari che non lo supportò abbastanza nelle sue ultime due stagioni a Maranello, chiuse al terzo e al secondo posto dietro l'astro nascente Fernando Alonso. Poi il momentaneo ritiro e il ritorno incolore nei tre anni alla Mercedes, prima di chiudere definitivamente lasciando l'ottavo mondiale nel libro dei sogni. E magari, chissà, alla miglior fortuna di Hamilton.

D'altra parte il 7 ha finito per essere un tabù anche per un altro mostro dei motori come Valentino Rossi, che dal lontano 2009 si ostina a rincorrere un sogno impossibile: dopo sette titoli mondiali nella classe regina (uno nelle 500, l'ultimo della storia di questa cilindrata, e 6 in Motogp), nelle ultime undici stagioni ha raccolto al massimo tre secondi posti, due dietro Marquez e uno alle spalle di Lorenzo. Lasciando così solo Giacomo Agostini a quota otto.

Sette come i buchi neri nell'albo d'oro del Tour de France, quelli lasciati scoperti da Lance Armstrong che prima strabiliò il ciclismo infilando un incredibile settebello consecutivo alla Grande Boucle, poi lasciò tutti ancor più sotto choc per la storiaccia del doping che lo costrinse a restituire tutte e sette le maglie gialle conquistate. Per lui, forse più che per ogni altro sportivo, il sette è stato bruttissimo.

E per restare nel ciclismo, soltanto Eddy Merckx è riuscito a vincere ben sette volte la stessa classica: il Cannibale ci riuscì con la Milano-Sanremo tra il '66 e il '76, ma dall'anno successivo cominciò anche per lui fatalmente il declino: uscita di scena la leggendaria Molteni, il belga cambiò squadra ma arrivarono anche gli acciacchi. Alla Sanremo del '77 è incredibilmente 96° e nel resto della stagione vincerà solo una tappa alla Parigi-Nizza e una al Giro della Svizzera prima di ritirarsi.

Un settebello magico fu quello di Mark Spitz nel nuoto ai Giochi di Monaco del '72: un record da marziano che, si pensava, nessuno avrebbe mai potuto nemmeno avvicinare. L'americano vinse in una sola Olimpiade gli ori di 100 e 200 stile, 100 e 200 farfalla, 4x100 e 4x200 stile e 4x100 misti. Poi però, 36 anni e nove Olimpiadi dopo arrivò sua maestà Michael Phelps che ai Giochi di Pechino, rispetto a Spitz, vinse solo i 100 stile ma fece doppietta individuale nei misti oltre che nei 100 e 200 farfalla. Otto ori in una sola edizione: nessuno ci era mai riuscito, in nessuno sport.

Qualche volta, insomma, c'è anche chi riesce ad andare oltre il sette: Roger Federer nel 2017 riuscì ad andare oltre i 7 Wimbledon vinti da Sampras (l'ultimo nel 2000) e nella preistoria da Renshaw. Invece agli Us Open sono quasi cent'anni che nessuno va oltre i sette titoli: l'ultimo a riuscirci fu Bill Tilden nel 1929. In Australia invece Novak Djokovic non ha voluto correre il rischio della maledizione del sette (centrato nel 2019) e ha rivinto subito l'ottavo in questa stagione.

Anche nel calcio Roberto Mancini ha finalmente superato il settebello di Vittorio Pozzo: il ct alpino guidò la Nazionale a sette vittorie consecutive in partite ufficiali tra il '36 e il '37, mentre l'attuale ct è arrivato addirittura a 10 nelle ultime qualificazioni europee. Ma anche nel pallone ci sono dei 7 indigesti: ovvero gli scudetti oltre i quali non riescono più ad andare il Torino da 44 anni (l'ultimo risale al 1976 con Radice e i gemelli del gol), il Bologna da 56 anni (dai tempi di Bernardini e Bulgarelli nel 1964) e la Pro Vercelli da quasi cento: le mitiche bianche casacche calarono il settebello nel 1922 poi finirono nelle retrovie del pallone.

Ma Lewis Hamilton non può certo aspettare tutto questo tempo.

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