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L'eterno ritorno Zeman e le follie di Don Raffaè

Paradossi del nostro calcio: il boemo ultimo in classifica potrebbe resistere più dello spagnolo dalle scelte cervellotiche

L'eterno ritorno Zeman e le follie di Don Raffaè

Rafalandia non esiste. Esiste, invece, Zemanlandia. Sono, questi, i misteri del calcio. Vivono entrambi, lo spagnolo e il boemo, esistenze parallele e assai sofferte. Parenti e serpenti della stessa famiglia calcistica, coinvolti, oggi, in vicende più grandi di loro stessi, Napoli e Cagliari.

In verità Rafael Benitez, ridetto sul Golfo, don Raffaé, ha in casa più trofei di quanti licenziamenti abbiano riempito la valigia di Zdenek Zeman. Di quest'ultimo nessuno può mettere in dubbio la serietà professionale, semmai capire quali siano i limiti e i difetti della sua scuola di pensiero, Zemanlandia esalta la fase montessoriana ma non supera le medie superiori. Consultando la storia dei due non è necessaria nemmeno la giuria di X Factor, Benitez vince a mani basse: lo spagnolo ha conquistato trofei in Spagna, in Inghilterra e in Italia, nazionali e internazionali, è sicuramente un uomo fortunato, non ha il fisico dell'atleta duro e puro: le gote imporporate, la panza XXL, le lenti degli occhiali umide di sofferenze varie, compongono l'ultimo identikit che lo sta lentamente allontanando dal presepe che si era costruito tra Valencia, Liverpool, Chelsea. Già le prime crepe si erano avvertite all'Inter, là dove il magico spogliatoio dello Special one lo aveva preso a torte in faccia come in "oggi le comiche". Le scelte bizzarre effettuate nelle ultime uscite napoletane sembrano averne segnato il destino, il cosiddetto turn over è una ciofeca che non serve a nulla se non ad eccitare l'avversario che una volta non si ritrova di fronte Higuain, un'altra Mertens, un'altra Hamsik.

La fiaba di Zeman viene raccontata dai soldati giapponesi sicuri di essere ancora in guerra. Se il boemo non si fosse schierato apertamente contro la Juventus e i suoi farmaci, non avrebbe trovato adesioni ed euforie che lo hanno reso più celebre di altri colleghi suoi, molto più titolati sul campo e non titolati sui giornali.

Gli esoneri, in Italia e all'estero, hanno macchiato una carriera che è stata sempre in salita ma non esclusivamente per fattori esterni. L'ultimo flop a Roma è stato come un gancio al mento del pugile al centro del ring, sicuro di vincere il match della vita. A Cagliari lo ha voluto il neopresidente Giulini che come Moratti, di cui è amico, ne va pazzo, sempre per il mistero della fede di cui sopra. La squadra non è da primato, fatica a comprendere le lezioni, dopo quattro giornate di campionato è ultima in classifica ma, come si sa e si usa dire, il torneo è lungo e tutto può ancora accadere.

Anche Zeman è passato da Napoli, accadde nell'anno Duemila quando venne liquidato a metà novembre, dopo l'eliminazione in coppa Italia, due pareggi e quattro sconfitte in campionato. Benitez ha finora raccolto una sola vittoria, un pareggio, due sconfitte e l'eliminazione dalla Champions, c'è puzza di bruciato attorno a lui, mentre il boemo gode di un conto bancario calcistico con interessi direttamente proporzionali alla fama e, inversamente, ai risultati.

Si è aperto il gioco delle scommesse su chi, tra i due, per primo toglierà il disturbo. Personalmente punterei su Benitez, il cui futuro dipende dagli umori e dagli amori di Aurelio de Laurentiis. "Natale a casa tua" potrebbe essere il prossimo film italospagnolo. Zeman resiste, resiste, resiste, anche se ha due trasferte, aspre e consecutive, in calendario, Inter e Verona Hellas.

Non è un momento bello, gli allenatori lo sanno, un giorno geni, un altro stolti. Comunque la compagnia di giro è sempre quella. Capita nel calcio dove la verità dura due tempi regolamentari, più i minuti di recupero.

Tutto il resto è propaganda alla quale soltanto le anime candide possono credere.

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