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Massimo non è più padrone ma l'Inter sarà sempre sua

Ha vinto tutto. Ora esce, ma in fondo resta. Come suo padre. E il popolo di San Siro lo sa

Massimo non è più padrone ma l'Inter sarà sempre sua

Massimo Moratti non è più il padrone dell'Inter. Da ieri. Ma l'Inter è ancora di Massimo Moratti. Per sempre. Meglio, dei Moratti. Perché la storia dice e dirà questo, mentre la cronaca registra il passaggio della maggioranza azionaria nelle mani di un terzetto di imprenditori indonesiani.

Arriva il giorno in cui si debba uscire da una azienda ma si possa restare nella sua storia, sempre, soprattutto quando, come il caso di Angelo, padre, e Massimo, figlio, questa azienda non è stata semplicemente una ditta di football ma una fetta grande e grandiosa di un'epoca, mezzo secolo, incominciata con il boom e finita con lo spread, gli anni di una Milano borghese e bauscia diventata una Milano sghemba e incontrollata.
Massimo Moratti ha regnato un tempo più lungo di suo padre e ha vinto tutto quello che si poteva immaginare di vincere e ha speso anche di più di quello che si immaginasse dover spendere. La realtà economica attuale non consente altre fantasie, il presidente ha dato un segnale ai suoi sodali italiani in piena crisi di cassa, dunque di identità.

L'Inter dei Moratti, una sola anche se in tempi diversi e distanti, è stata una passione particolare, di mille sigarette, di mille battaglie, di mille amarezze, un travaglio di errori e una montata di godimento esploso nella notte di maggio del duemila e dieci, con il trionfo di Madrid, dopo lo scudetto e prima dell'intercontinentale, come si chiamava un tempo (in cui l'Inter se ne appropriava comunque), insomma il triplete da mandare a memoria nei secoli dei secoli e da mostrare, con le tre dita come San Nicola, davanti agli occhi dei rivali, invidiosi, gelosi, avviliti. Massimo Moratti ha sopportato il peso del cognome illustre, confortato dalla famiglia, allineata e coperta, esibita ma mai esibizionista. È stato amato e odiato, come accade ai capitani di industria e di football, ha convissuto il periodo dei berlusconismo più clamoroso di mai, ha dichiarato guerra agli ex parenti e poi serpenti juventini, ha giocato da solo e insieme con gli altri, ha concesso alla stampa, più parole e temi di qualunque altro personaggio pubblico, dello sport, della politica, dello spettacolo. Tutti avrebbero voluto un presidente così, disposto e disponibile ad accontentare i capricci e a perdonare i vizietti, a regalare giocattoli parlanti con cui divertirsi e divertire.
Ecco perché la sua uscita dall'Inter è un fatto bancario, finanziario, cronistico ma non sostanziale. Moratti manterrà il 30 per cento quasi a confermare di non poter tagliare il cordone ombelicale da un club che a lui, e alla sua famiglia, da Gianmarco a Maria Rosa detta Bedi, dalla grandissima Adriana, primogenita di Angelo, a Gioia, a Natalino e ai figli e al nipote Fabrice Lecomte che dalla sua dimora di New York, quotidianamente, sa più di Appiano Gentile che di Manhattan, ha regalato il mondo e il ritorno nostalgico al tempo del patriarca Angelo.

L'Inter di Moratti ha riempito notti, sogni, incubi, gioie di milioni di tifosi e offerto migliaia di storielle ai concorrenti. Pazza, sempre, beneamata comunque. La storia questo dice, non altro, Angelo e Helenio, Massimo e Josè, Sarti Burgnich e Facchetti, Ronaldo, Vieri, Ibra, Milito, Eto'o, gli avversari debbono sfogliare questo album di figurone, mentre gli errori e le omissioni dei concorrenti, Agnelli o Berlusconi per dire, vengono velocemente cancellati dai diari di memorie. Questo giorno di mezzo ottobre ha due soli colori, gli stessi del nove di marzo del millenovecentootto, come disse Giorgio Muggiani artista pittore e socio fondatore, in una sala del ristorante l'Orologio, tra gentiluomini con mustacchi e bombetta, riuniti per dare inizio all'avventura: «Questa notte splendida darà i colori al nostro stemma, il nero e l'azzurro sullo sfondo d'oro delle stelle. Si chiamerà internazionale perché noi siamo fratelli del mondo». La cronaca si conclude oggi. La storia continua. Verrà Erick Thohir con i suoi denari ma il popolo di San Siro, non soltanto quello, cercherà ancora Massimo Moratti, dietro una nuvola di tabacco. Quando apparirà, sarà il momento della nostalgia, dell'emozione violenta e malinconica. Ma l'Inter non cambierà, i suoi padroni stranieri, i fratelli del mondo come disse il pittore Muggiani, non potranno mutarne l'identità, i connotati.

Massimo Moratti lo sa benissimo e osserverà il film che lui stesso ha scritto.

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