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Inzaghi, capolinea in vista? La fatal Verona è a San Siro

"Gli infortuni non devono essere un alibi. Sogno di allenare il Milan per altri 20 anni. Le critiche? Rafforzano. E posso girare a testa alta"

Inzaghi, capolinea in vista? La fatal Verona è a San Siro

Dopo una settimana piena di critiche velenose, tutte meritate, lettere del club per chiedere spiegazioni, visite ripetute di Galliani a Milanello e spifferi sul futuro traballante della sua panchina, Pippo Inzaghi si è preparato per bene. Come ai bei tempi andati di quando, da centravanti non molto dotato da madre natura, studiava ogni dettaglio del proprio rivale per prenderlo di sorpresa e scandire la sua carriera con una valanga di gol. Ha anche corretto un paio di strafalcioni di comunicazione traditi al termine dell'ultimo deludente 0 a 0 («non è facile giocare contro il Chievo»), ha spazzato via dal tavolo ogni discussione sul numero industriale di infortuni («non devono essere un alibi») e ha puntato dritto alla sfida di questa sera col Verona. «Dobbiamo fare poche chiacchiere e molti fatti», il suo ultimo mantra che è una conferma indiretta dei rischi che si nascondono dietro l'arrivo a San Siro di Toni e Mandorlini con il Verona, a secco dal 2000 addirittura, quanto a punti guadagnati. «Le critiche mi hanno rafforzato, sono convinto delle mie idee, posso girare a testa alta», il pistolotto preparato per accreditare l'immagine di un condottiero che non ha perso fiducia né sicurezza nel gruppo. Anzi è pronto a scommettere sul proprio futuro, come gli capitò da ragazzino debuttando su un campetto alla periferia di Piacenza.

«Io voglio restare al Milan non perché ho fatto bene da calciatore, ho il sogno di allenare il Milan per altri 20 anni perché questo è un mestiere che mi piace e mi esalta»: ecco un altro pezzetto dell'Inzaghi più famoso e più stimato, quello che convinse Galliani a spendersi per lui dopo il mancato sbarco di Antonio Conte. Adesso che Pippo ha forse perso la sua innocenza e si ritrova appeso a un risultato, a uno straccio di buona partita, a una serata da Milan insomma, tutte quelle frasi pronunciate ieri a Milanello non possono più bastare. E non solo perché nelle stesse ore, a Empoli, il presidente Corsi si è lasciato sfuggire una battuta che può servire a orientarsi per il futuro rossonero («spero che Sarri resti con noi, ma ero presente quando Galliani entrò nello spogliatoio per fare i complimenti al nostro allenatore...»).

Non possono più bastare perché la realtà è scolpita da pochi brutti numeri e qualche amara riflessione: c'è una classifica che piange, la squadra, al netto della strage di infortunati, gioca male e corre poco, il popolo dei tifosi è sempre più sfiduciato e lontano da San Siro, i punti raccolti nel 2015 sono una miseria, alcuni dei pezzi pregiati del mercato di gennaio sono entrati e usciti di squadra. L'esempio più calzante è quello di Alessio Cerci, corteggiato più di una soubrette mentre era alle Maldive, fatto entrare quando non aveva ancora molta benzina e poi rispedito in panchina. Stasera è destinato a tornare da titolare nella speranza di mettere fine al dualismo con Menez e nello stesso tempo di servire meglio Destro, 1 solo gol all'attivo per l'ex romanista ma pochissimi rifornimenti. Anche su questo argomento, Inzaghi si è mostrato preparatissimo. «Ho chiesto di calcolare i palloni toccati da Mattia quando era alla Roma e adesso al Milan: sono più o meno gli stessi, sui 19. Lo stesso numero che avevo io da calciatore, o Icardi oggi nell'Inter. Diverso il numero dei palloni toccati da Menez a partita, 42, ma solo perché ha caratteristiche diverse», la spiegazione didascalica.

Stasera giocheranno tutti e tre insieme, in attacco, secondo un disegno tattico non ancora ben scolpito, con Bonaventura, il vero asso nella manica, retrocesso a far da centrocampista per sopperire alle assenze di De Jong e Montolivo. Perciò Inzaghi e il Milan stasera han bisogno di qualche fatto e di nessuna chiacchiera. Altrimenti..

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