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Inzaghi fa lo stopper: "Berlusconi è con noi". Il Milan cambia faccia

"Il presidente non si commenta, difficile soddisfarlo sempre". Contro l' Empoli tocca a Torres, Van Ginkel e Bonaventura

Inzaghi fa lo stopper: "Berlusconi è con noi". Il Milan cambia faccia

Inzaghi e il nuovo Milan sono già dinanzi al primo esame di riparazione: è il calcio, bellezza, verrebbe da chiosare conoscendo usi e costumi del calcio italiano mentre Pippo mastica amaro. Non protestò per le lodi premature, non può rivoltarsi adesso dopo qualche scudisciata. È bastato uscire con la stilettata di Tevez nel costato, perdere il comando della classifica e risultare staccati dal Verona, per ritrovarsi inchiodato a critiche e censure, tutte valorizzate dalla frase di Silvio Berlusconi finita nei titoloni dei giornali. E in parte ridimensionata dalla telefonata di ieri, all'ora di pranzo, partita da Arcore e indirizzata al giovane tecnico «Per incoraggiare il gruppo e darci la carica» la notizia passata ai media. «Le dichiarazioni del presidente non si commentano», è il preludio educato di Inzaghi a una risposta rivolta alla platea degli insoddisfatti, forse anche agli illusi, pronti a scommettere su un Milan risorto dalle ceneri dell'8° posto, a tempo di record, dopo due squilli di tromba.

«Anche noi volevamo regalare al presidente e ai tifosi che sono stati strepitosi una grande vittoria, anche noi volevamo stare 90 minuti nella loro area, ma abbiamo giocato contro una corazzata candidata a vincere la Champions league. E alla fine loro hanno fatto 5 tiri in porta contro i nostri 3. E se ci avessero dato quel rigore che c'era, magari finiva 1 a 1». Dalla lunga e composta rincorsa, viene fuori quasi una filippica per difendere l'acerbo Milan dalle accuse di provincialismo calcistico che devono stargli proprio strette e per ritornare sull'episodio non ancora dimenticato (l'evidente sgambetto di Marchisio su Menez in area) del penalty negato da Rizzoli.

Se poi, nel corso degli altri quesiti arrivati sullo stesso tema in conferenza-stampa, Inzaghi è lesto nel far sapere che tutta la società è al suo fianco, da Barbara Berlusconi ha ricevuto i complimenti a fine gara e che «cerchiamo di mettere in pratica le nuove idee del presidente ma non sempre è possibile», vuol proprio dire che il giovanotto conosce bene le abitudini del casato e anche del suo mentore. Quando arrivano le bacchettate da Arcore, si prendono, si incartano e si portano a casa senza farne un caso o peggio una tragedia.

Perciò il viaggio di stasera a Empoli ha già il vago significato di un esame di riparazione. Perché è il primo di un trittico, sulla carta e solo sulla carta favorevole (dopo Empoli, seguono Cesena fuori e Chievo a San Siro), capace di rilanciare in classifica il club e far dimenticare la delusione della Juve, contraddistinta da una conquista: «L'affetto dei tifosi che ci hanno applaudito alla fine e hanno capito il nostro sforzo nel contrastare la Juve». Per superarlo, Pippo è pronto a rinfrescare con quattro cambi lo schieramento e a dare, con il debutto dal primo minuto di Torres, una risposta autorevole a chi richiede, Berlusconi tra questi, «una squadra padrona del campo e del gioco».

Il contropiede non può e non deve essere l'unica risorsa. «Siamo il Milan, siamo pronti, siamo carichi» è l'assicurazione del tecnico che si affida perciò a un cospicuo rimpasto in tutti i reparti. In difesa il ritorno di Bonera (al fianco di Zapata, il migliore della ciurma) al posto di Rami, a centrocampo il debutto assoluto di Van Ginkel per far rifiatare Poli strapazzato da Pogba, in avanti El Shaarawy (ha finito con i crampi sabato sera) cede il passo a Bonaventura nell'attesa che Menez, la rivelazione di questo primo mese rossonero, recuperi forze e energie spese in gran quantità ricavando la miseria di un solo tiro in porta (parata di Buffon).

Empoli non è una gita di piacere. «Ha fatto soffrire la Roma e rimontato il Cesena» ricorda Pippo didascalico.

Sa perfettamente che al Milan il futuro non può attendere troppo.

 

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