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"Io ct che sogna a occhi aperti L'azzurro vale più dei soldi"

Domani il suo primo mondiale: "Mi alleno coi miei atleti, la fatica mi aiuta a capirli Sono quello che guadagna meno, ma sono io a decidere. E non farei mai cambio"

"Io ct che sogna a occhi aperti L'azzurro vale più dei soldi"

Comincia domani la sua terza vita. L'incarico risale a mesi fa, ma è con il primo Mondiale (Spagna, Ponferrada) che davvero Davide Cassani diventa commissario tecnico della nazionale. Nella prima vita fu corridore, gregario impareggiabile, azzurro devotissimo. Nella seconda vita fu opinionista Rai, grande divulgatore di segreti tecnici, massimo esperto in maltodestrine. Queste vite così diverse sono legate comunque da un'unica catena, mai allentata, mai tranciata: la catena di una bicicletta. Pedalare, pedalare sempre, pedalare in tutti i sensi.

Ct, l'esordio è qui: quante volte si è già detto «chi me l'ha fatto fare»?

«Mai. Proprio questa mattina sono uscito in bicicletta con i miei undici azzurri: pedalavo alle loro spalle, sul filo dei 50 all'ora, li vedevo nella divisa dell'Italia e mi dicevo ma che bello, sono il commissario tecnico...».

E i macerati che parlano di stress, di responsabilità, di pressioni?

«Io sono sereno e contento. Mi gusto fino in fondo il piacere. Tantissimi quelli che sognano di diventare ct, uno soltanto ci arriva. È toccato a me, sono un uomo felice».

Eppure avrà conosciuto anche il lato cupo di questo sogno.

«L'unico: lasciare a casa certi corridori. È penoso. Per esempio dire no a Pozzato e Gasparotto, che pure si erano impegnati, mi è costato tanto. Mi sono sollevato pensando al grande Alfredo Martini: nel '94 ero il suo fedelissimo, da diversi anni, eppure notò un calo nel mio rendimento e mi lasciò fuori. Quella volta imparai che bisogna sempre essere onesti, con se stessi e con chi merita, anche se può diventare doloroso. Questo è il mestiere delle scelte, bisogna essere decisi fino in fondo».

La cosa che si è rivelata più facile?

«Temevo i rapporti politici e istituzionali con il Palazzo, quelle sono logiche con i loro tempi e i loro meccanismi. Ma devo dire che ho incontrato solo aiuti e appoggi incondizionati. Nessuno ha mai messo lingua. Mi sembra di fare questo lavoro da anni».

Tre vite e tre ruoli così diversi...

«Sono molto fortunato: tutte le volte che ho coltivato un sogno, l'ho realizzato nel momento migliore. Da ragazzo volevo fare il ciclista e ci sono riuscito. Una volta finito di correre volevo fare l'opinionista Rai e proprio in quel momento è arrivata l'occasione. Ora mi sentivo finalmente pronto per la nazionale e puntualmente ecco l'offerta. Non ho proprio niente di più da chiedere. Ora avverto le emozioni e la gioia della prima gara e della prima telecronaca. Ma ogni volta non ho mai rimpianto la vita precedente. La mattina mi alzo e sono felice, perché adoro quello che sto facendo».

Via, mandiamo un saluto a quelli che dicono «il ct del ciclismo lavora un giorno all'anno».

«Se sei ct davvero, lo sei giorno e notte, tutti i giorni dell'anno. Sei ambasciatore, consigliere, studioso. Devi andare ovunque e ascoltare tutti. Il ct del ciclismo non si occupa solo di una corsa, ma di tutto un mondo».

Ce l'ha pure lei un motto?

«Ascolta e dimentica, leggi e ricorda, fai e capisci. Su quest'ultimo punto: è per questo che vado in bicicletta con i miei atleti. Non c'è come fare fatica per capirli meglio».

Identikit dell'azzurro perfetto.

«Quello che all'inizio della stagione dice: ho il sogno azzurro, cosa devo fare per meritarmi quella maglia? Il caso di De Marchi. Ha attaccato tutto l'anno, ha movimentato il Tour. Quando gli è arrivata la borsa della nazionale, non credeva ai suoi occhi: allora è proprio vero, mi ha detto. E poi Nibali: ha vinto il Tour, poteva mettersi comodo, invece ha voluto insistere per vestire l'azzurro».

Tutti così?

«No. Ci sono quelli che chiami tre volte e nemmeno rispondono al telefono. Gente che proprio non coglie il significato della nazionale. Questa gente, finché c'è Cassani, in nazionale non ci sarà mai».

Non tutti hanno sangue azzurro come lei.

«Viviamo un periodo particolare, in tutti gli sport: la nazionale in tanti casi diventa persino fastidio. Un valore anacronistico. Ma io posso dire che il giorno più bello della mia vita sportiva coincide con il mondiale vinto da Bugno nel '91. Quella volta mi fermai sotto al podio e mi gustai la festa ad occhi lucidi, con l'inno e tutto quanto. Era come se avessi vinto io. Voglio dirlo ai ragazzi: questi momenti restano tutta la vita e ti fanno stare bene. Chi li ha è una persona fortunata. Non ci sono soldi che tengano».

A proposito: lei ci ha rimesso, passando dalla tv all'ammiraglia.

«Non c'è problema. Stamattina, in coda alla squadra, mi sono detto: tu guarda, sono quello che guadagna meno, ma sono quello che decide. Non farei mai cambio».

Comincia la sua terza vita con una nazionale...

«Non favorita. Lo so. Voltiamo pagina, ricominciamo dai giovani. Da sei anni non vinciamo una superclassica, quest'anno mai un italiano nei primi tre. Inutile raccontarsela, vincere sarebbe un miracolo».

Eppure?

«Eppure dobbiamo correre compatti e lottare fino in fondo. Voglio una grande gara italiana. Il risultato? Mi consolo con i grandi predecessori: Martini partì con un disastro, Ballerini più o meno. Provo a guardare avanti, lavoro per il futuro: il giorno in cui un mio azzurro vincerà il mondiale, sarò l'uomo più felice della terra».

E se per caso andiamo sul podio già stavolta?

«Io vado in bici a Roma dal Papa, tappa unica».

Cassani, si dice che tutto e tutti abbiano un prezzo: cosa vuole per rinunciare al ruolo del ct?

«Non rinuncio per nessuna ragione al mondo.

Non c'è come sognare a occhi aperti, nella vita».

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