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Italia, flop mondiale con tanti misteri

Secondi in coppa del mondo, zero medaglie a Vail. Stage, test, selezioni, crollo psicologico: difficile trovare la causa

Italia, flop mondiale con tanti misteri

Beaver Creek I fuochi d'artificio che piacciono tanto agli americani hanno coperto nel pomeriggio di domenica le parole commosse di Jean-Baptiste Grange, che nell'ultima conferenza stampa di questo Mondiale spettacolare raccontava la sua gioia per una vittoria considerata impossibile. Lo slalom maschile che ha chiuso il sipario su Vail-Beaver Creek 2015 era l'ultima speranza per l'Italia di entrare nel medagliere che alla fine ospita ben 10 nazioni: dall'Austria con 9 podi agli Stati Uniti con 5, e poi Slovenia (leggi Tina Maze), Francia, che con l'oro di Grange ha chiuso a tre medaglie come la Svizzera, e ancora Germania, Canada, Svezia, Norvegia e Repubblica Ceca. La squadra attualmente seconda nella classifica di coppa del mondo per nazioni, sì è proprio l'Italia, se ne torna mesta dal Colorado con il sesto posto di Roberto Nani in gigante come miglior risultato. Incredibile.

Nemmeno nella più pessimistica delle ipotesi si poteva pensare ad un disastro del genere. E non ci sono stati nemmeno i quarti posti a consolarci, niente. Paris, Innerhofer, le due Fanchini, Brignone, Gross e Razzoli (in ordine di apparizione), tutte le nostre punte hanno sbagliato qualcosa, hanno deluso (se stessi soprattutto), fallito l'obiettivo. Chi per una curva sgradita, chi per la neve nemica, chi per qualche timore, chi per un suicidio tattico… ad ognuno la sua, quel che è certo è che nessuno ha trovato scuse e non credete a chi si diverte a massacrare i ragazzi o a farli passare per presuntuose prime donne, no, sono stati loro i primi a flagellarsi. Dall'Innerhofer che ammette di dover imparare a sciare su tutte le nevi e non solo sul ghiaccio al Gross che dice «quelli forti sono forti sempre e ovunque». Eppure… qualcosa che non va deve esserci, per forza. Ma non è semplice trovarlo. Tecnici da cambiare? Non risulta che quelli dei Mondiali fossero diversi da quelli che a Kitzbuehel a fine gennaio facevano trionfare Dominik Paris o che ad Adelboden, Wengen e Schladming festeggiavano i podi in slalom di Stefano Gross. Carenze organizzative? Può darsi, di sicuro l'Austria e gli Stati Uniti hanno messo in campo molti più mezzi, ma gli azzurri a Beaver Creek non si sono fatti mancare nulla e infatti nessuno ha osato lamentarsi. Al contrario, tutti gli atleti si sono assunti le proprie responsabilità e recitato il mea culpa.

Di sicuro si potrebbero dare per scontate meno cose, pensando ad esempio alla Germania che ha portato in America solo chi aveva rispettato i criteri di qualifica, o alla Svizzera che ha costretto alle selezioni in prova l'uomo che poi è diventato campione del mondo di discesa, Kueng. In certi gruppi da noi sono alcuni atleti a comandare (sempre meno però, i giovani ubbidiscono di più) e a volte è difficile programmare raduni in luoghi che accontentino tutti, quelli che vengono da est e da ovest. Ma non è colpa di nessuno se l'Italia del nord è molto più grande della Svizzera, dell'Austria o della Savoia. Va anche detto, e l'ho già fatto più volte, che lo sci è uno sport crudele, per nulla scientifico, legato a troppe variabili e quindi soggetto a flop clamorosi. Un'idea potrebbe essere quella di sfoltire un po' i gruppi e far lavorare meglio i più bravi, ma proprio prima dei Mondiali questo è stato fatto, gli allenamenti sono stati di gran qualità e i riscontri positivi erano con gli stranieri, che poi sono andati forte in gara. Problemi di tenuta psicologica? Può darsi, e qualcuno dovrà pensarci. Per ora, in ogni caso, l'unica cosa da fare è voltare pagina e rimettersi al lavoro.

Perché da sabato sarà di nuovo tempo di coppa del mondo e anche se ormai le medaglie sono al collo di altri, una reazione d'orgoglio è quel che ci vuole per scacciare la crisi.

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