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«Gli italiani ci sono anche senza Aru Ma per il futuro punto tutto su di lui»

Il bilancio del Giro del ct azzurro: «Una maglia e 5 tappe, non è un flop»

Pier Augusto Stagi

Vincenzo Nibali non c'era, Fabio Aru non si è fatto vedere. Il ciclismo italiano dopo un Giro per l'Italia si pesa e si conta. Cinque vittorie di tappa: 4 con Elia Viviani, una con Enrico Battaglin. Maglia ciclamino della classifica a punti a Elia Viviani. Due corridori nella top ten: 5° Domenico Pozzovivo, 10° Davide Formolo. Tre nei primi venti, con Gianluca Brambilla che ha chiuso 19°. Nessun italiano sul podio: non accadeva dal 2012, l'anno di Ryder Hesjedal, davanti a Rodriguez e De Gent. Ma in questo caso come dobbiamo valutare questi numeri? È il caso di guardare il bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? Per valutare la prestazione azzurra sulle strade d'Italia, abbiamo coinvolto il ct della nazionale Davide Cassani che, tra i tanti meriti, ha anche quello di aver ridato vita al Giro Baby, quello dei dilettanti, che scatterà da Forlì il prossimo 7 giugno.

«Un anno fa abbiamo applaudito il 3° posto di Nibali alle spalle di Dumoulin e Quintana, ma è anche vero ci spiega Cassani che di vittorie ne abbiamo ottenuta una sola, proprio con Vincenzo nel tappone dello Stelvio. Quest'anno abbiamo invece lottato fino all'ultimo per il podio con Pozzovivo, e abbiamo portato a casa cinque vittorie di tappa, oltre ad una maglia ciclamino sempre con Viviani. E poi Battaglin, che è tornato ai suoi livelli».

È però mancato Fabio Aru, la grande speranza azzurra: mai competitivo, sempre in affanno prima del ritiro.

«Questo è il vero problema, ma Fabio non è giudicabile, questo non è il suo livello».

Esclude il fatto che non abbia retto il peso delle responsabilità: squadra nuova, ingaggio milionario (3 milioni a stagione, ndr), nuove aspettative. Non più una giovane promessa, ma l'uomo deputato a prendere l'eredità di Nibali, che va verso i 35 anni?

«Non è da escludere anche questo aspetto, non è facile correre per un solo risultato, che è quello pieno. Ma io conosco Fabio: qualcosa è andato storto. Lui è tra i più forti interpreti al mondo nei Grandi Giri e tornerà».

Pensa che dovrebbe virare verso il Tour, o proseguire con il programma originale: Vuelta e mondiale di Innsbruck?

«Questo non sta me a dirlo, ma è chiaro che conto di averlo al top per la sfida iridata».

Chi le è piaciuto di più in questo Giro?

«Intanto è stato un Giro spettacolare, corso con uno spirito da dilettanti dall'inizio alla fine. Froome è stato pazzesco, Dumoulin un avversario tostissimo. Per quanto ci riguarda Viviani ha fatto un salto di qualità notevole, a questo punto gli manca solo una classica Monumento come la Sanremo. Pozzovivo ha fatto quello che poteva: sarebbe stato un degno premio alla carriera un posto sul podio. Poi c'è Davide Formolo, che ha soli 25 anni, sta crescendo e ha chiuso come un anno fa 10°. Deve solo capire dove può migliorare».

Lei è anche il coordinatore delle squadre azzurre, organizza il Giro Baby: cosa bolle in pentola, abbiamo giovani talenti?

«Ci sono ragazzi molto interessanti, che nel giro di tre/quattro anni verranno fuori. Però di nomi non ne faccio, non è giusto e poi non fa neanche bene. Dico solo che uno come Gianni Moscon (correrà il Tour con Froome, ndr) è un talento assoluto, e l'ha già fatto vedere. Di lui non sappiamo ancora se sia corridore di classiche o da Grandi Giri. Io sarò un inguaribile ottimista, ma il bicchiere lo vedo molto pieno.

Aru ha vissuto solo un brutto incidente di percorso, un contrattempo, ma Fabio è il futuro».

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