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Italrugby, la meta obbligata: sotterrare il cucchiaio di legno

Domani all'Olimpico contro l'Irlanda l'esordio nel torneo del riscatto azzurro Nazionale al bivio di una lunga stagione buia con una sola vittoria in 10 gare

Italrugby, la meta obbligata: sotterrare il cucchiaio di legno

Vincere o sprofondare. Mai come quest'anno il Sei Nazioni rappresenta un bivio nella storia del nostro rugby. Dopo exploit ormai antichi, dopo anni di speranze disilluse, dopo la stagione più bella di sempre, quella del 2013 con le due splendide vittorie sulla Francia e sull'Irlanda, la nazionale ovale è tornata infatti sulla terra lo scorso anno con un tremendo cucchiaio di legno da appendere nella cucina azzurra per mescolare una serie incredibile di sconfitte.

E il Sei Nazioni, oltre tutto, non ha rappresentato solo una parentesi, perché negli ultimi tempi tutta la storia della Nazionale di Jacques Brunel non si è certo sviluppata all'insegna delle vittorie. Basti pensare che delle ultime 10 partite ne abbiamo vinte soltanto una. Segno di un movimento che purtroppo non riesce a fare il salto di qualità nonostante i milioni che sono piovuti nelle casse federali da quindici anni di partecipazione al ricco banchetto del rugby europeo, nonostante la passione che ha portato il pubblico italiano a riempire prima il Flaminio e poi anche l'Olimpico per stare vicini a una Nazionale che non riesce a scrollarsi di dosso il fanalino di ultima della classe del rugby che conta in Europa.

Adesso siamo a una svolta, dicevamo, perché l'Italrugby non può permettersi di dissipare tutto il credito di cui ha goduto e di cui continua comunque a godere da parte di chi nel nuovo secolo si è appassionato alle vicende della vecchia parrocchia ovale. Un mondo che non può più essere lontanamente paragonato a quello dilettantistico e pionieristico di un tempo, che non è più il rugby del prosecco e delle cantate nei terzi tempi. Qui ci sono fior di professionisti, tanta gente che gioca nei migliori campionati, se non nelle migliori squadre d'Europa. Giocatori che non possono avere nulla da invidiare ai loro colleghi delle altre cinque nazioni e che, come tali, non possono dare meno dei rivali quando scendono in campo. Per gli azzurri, insomma, non può più valere l'indulgenza degli ultimi arrivati, per cui il cucchiaio di legno del 2014 non è stato un elemento di folclore ma un vero disastro tecnico.

Si ricomincia con questo clima da esame di maturità e si riparte proprio contro i campioni uscenti, quell'Irlanda ( domani ore 15.30, stadio Olimpico di Roma ) che tutti vedevano sul viale del tramonto e che invece ha conquistato la coppa con uno splendido colpo di coda, andando a vincere a Parigi nell'ultima sfida dell'edizione passata. E proprio nell'impresa irlandese sta tutta la differenza che c'è ancora tra il rugby azzurro e quello delle cinque sorelle: a irlandesi, gallesi, scozzesi, magari anche a inglesi e francesi, può capitare una stagione storta, ma nel giro di dodici mesi ognuna di queste squadre può essere in grado di inventarsi un ribaltone, magari anche un grande slam. Noi invece pecchiamo sempre tremendamente di continuità: per noi l'eccezione è l'exploit, come quello di due anni fa, mentre la resa sembra diventata la regola.

Vincere o sprofondare, dunque, perché se anche questo Sei Nazioni dovesse finire male sarebbe difficile dare ancora chance a una nazionale che continua a piacere e ad attirare simpatia nonostante i risultati. In Italia nessuna squadra azzurra, nessuno sport diremmo, ha una considerazione così inversamente proporzionale ai risultati conseguiti come la nazionale di rugby. Ma fin quando potrà durare questa apertura di credito? Ci aggrappiamo ancora a capitan Parisse, a oriundi ed equiparati che nel rugby non mancano mai, persino a un mediano d'apertura maori - Kelly Haimona - che siamo riusciti a rendere italiano, ma abbiamo anche una terza linea tutta made in Italy (Parisse, Favaro - che però con l'Irlanda non ci sarà - e Zanni) che è di valore mondiale, abbiamo giovani emergenti usciti dalla nostra scuola come Morisi e Campagnaro, come il mediano di mischia Gori. A loro il compito di non far raccontare sempre alla gente dell'Olimpico che il rugby è unico perché si festeggiano anche le sconfitte.

A noi non darebbe fastidio far festa pure per qualche vittoria.

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