Brasile 2014

Löw, il calmo perfezionista pronto a diventare grande

L'orso... Jogi all'ombra del 10. L'ultimo mondiale la Germania lo vinse prima della riunificazione. Il ct sempre pettinato è diventato sex symbol, malgrado le dita nel naso

Klinsmann e Low durante la gestione comune della Germania nel 2006
Klinsmann e Low durante la gestione comune della Germania nel 2006

Jogi è sempre elegante. Ama indossare una camicia scura, quasi mai con la cravatta. E arrotola le maniche. Come dire: «Forza, andiamo a lavorare». Jogi ha 54 anni, guadagna 3 milioni e 300mila euro l'anno - pagati dalla Deutsche Fussball Bund, che non riceve sovvenzioni statali - e ha un contratto fino al 2016. Domani compirà otto anni: nel senso che il 13 luglio 2006 ricevette l'incarico di ct della Germania per prendere il posto di Jurgen Klinsmann, di cui era il vice. Calpesterà l'erba del Maracanà per la seconda volta in dieci giorni - il 4 luglio, avversaria la Francia, Hummels decise il match con un colpo di testa - e proverà a salire sul tetto del mondo: Joachim Löw è pronto a diventare grande, ecco. Se lo aspettano tutti e magari è proprio quello il problema: la Bild, dopo la vittoria dell'Argentina sull'Olanda, ha fatto i complimenti ai vice-campioni del Mondo dando per scontato che il titolo iridato sia già nelle mani di Müller e compagni. Presunzione, supponenza, alterigia potrebbero essere i nemici da battere più che la Seleccion. Del resto è vero che i tedeschi arrivano spesso fino in fondo, ma su sette finali mondiali finora disputate ne hanno vinte solo tre: dimenticare il 7-1 inflitto al Brasile è insomma obbligatorio, salvo risvegliarsi nell'ennesimo incubo che renderebbe quasi inutile l'impresa di pochi giorni fa.

«Abbiamo vinto 29 delle 32 partite ufficiali dal 2010? Pensiamo alla prossima», è il pensiero del perfezionista Jogi. Il quale nei mesi scorsi aveva spedito otto volte Bierhoff in Brasile per curare al meglio il soggiorno della spedizione, pretendendo per esempio che il campo di allenamento fosse posizionato nella stessa direzione di quelli del torneo «per abituarsi alla luce del sole». Si arriva in finale anche così, certo. Passando in mezzo alle critiche che non mancano mai nemmeno in Germania («sono abituato»), facendosi travolgere dallo stress e dimenticandosi la buona educazione quando per esempio, al termine del match contro il Portogallo, si è infilato le dita nel naso poco prima di stringere la mano a Cristiano Ronaldo. I numeri sono tutti dalla sua - due semifinali mondiali ed europee, 111 panchine finora con 76 vittorie, 20 pareggi e 15 ko - ma la Germania non vince un Mondiale dal 1990 (tre mesi prima della riunificazione) e un titolo dagli Europei di diciotto anni fa. E l'astinenza si sente. A Berlino e dintorni non vedono l'ora di innaffiarsi di birra e ringrazierebbero fino all'eternità uno che invece preferisce il vino e che adora la tranquillità, pur essendogli già stata ritirata un paio di volte la patente per eccesso di velocità: «Mi alzo prima delle sei, anche. E vado in spiaggia da solo: corro e penso. Quasi mai al calcio». Un tipo quasi serafico, diventato sex-symbol suo malgrado da quando è capo allenatore. Uno che non ha mai due capelli (tinti?) fuori posto e che ha spiegato, gigioneggiando un po', che «il giorno in cui mi diedero l'incarico, chiunque avrebbe fatto i salti di gioia: io sentii il mondo crollarmi addosso e invidiai Jurgen (Klinsmann, trasferitosi in California, ndr). Io e mia moglie non abbiamo più vita privata».

Da lunedì, forse, sarà ancora peggio: coraggio, Jogi.

Commenti