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L'amico Mancio lascia l'amico Miha in camicia

Iniziano vicini con l'abbraccio nel tunnel e finiscono lontani Per Roberto partenza da scudetto: il maestro batte l'allievo A Sinisa resta l'inutile palo alla prima prodezza di Balotelli

L'amico Mancio lascia l'amico Miha in camicia

Gli amici veri si abbracciano sotto il tunnel, al buio, perché quel gesto, intimo e sentito, vissuto da Mancini e Mihajlovic, non diventi un altro motivo per dividere e per scatenare il livore dei curvaioli. Già perché Sinisa, un tempo icona dell'interista duro e puro, è diventato d'improvviso un nemico da inseguire con il laser e da seppellire con i fischi appena mette fuori la sua sagoma dalle viscere di San Siro. Spiegazione semplice: tutta colpa di quel saltello il giorno della presentazione del Milan. Nello stadio a maggioranza interista, gli fa concorrenza solo Balotelli, antico e scontato obiettivo di cori, insulti e striscioni volgari. Abbracciati prima i due poi separati all'uscita sotto i riflettori, dispetto estremo per i fotografi in attesa, e infine ciascuno per la propria strada, davanti alla rispettiva panchina. Senza timore di stupire la platea e magari sorprendere l'amico-rivale con un paio di trovate che sono il sapore gustoso delle discussioni pre-derby. Prendete Medel, difensore centrale, come col Cile, che non sbanda e non trema dinanzi a Bacca, anzi gli toglie spazio e luce, oppure prendete quel centro-campo affidato alla guida di Montolivo, ignorato durante le prime uscite e adesso lasciato in cabina di regia al posto di De Jong. Alla terza golosa occasione mancata dal brasiliano Luiz Adriano, però Sinisa ha smesso la giacca ed è rimasto in camicia, disidratato e sempre a parlottare con il suo tattico. E appena Mancini rimprovera Guarin, già proprio lui, poco attento su Bonaventura, ecco Sinisa sbraitare con Montolivo che ignora un paio di sodali smarcati. Solo prima dell'intervallo Mihajlovic perde la trebisonda, come sa fare lui, e marcia deciso verso Rocchi e l'assistente per protestare per un fuorigioco ignorato sulla sirena.

Quando cambia il vento del derby, succede nella ripresa, e anche il risultato fino ad allora in bilico, con quella cavalcata possente di Guarin e la stoccata infilata come una spada nella difesa del Milan, Mihajlovic può tornare a mettersi in camicia e Mancini, impeccabile nella sua grisaglia, prendere da parte solo Felipe Melo per raccomandargli di mettere il lucchetto davanti alla difesa. Allora Sinisa prova col primo cambio (dentro Balotelli, fuori Bacca stanco e stravolto) a rimettere in piedi quel che resta di un Milan prima sciupone e adesso stordito. Tempestivo il primo, ritardato il secondo (Cerci per Honda spolpato). Mancini deve solo far decidere al destino: ammaccato Juan Jesus?, spunta Telles, assalito dai crampi Perisic?, c'è posto per Ranocchia. Il palo è lì beffardo a negare l'acuto di Mario liberatosi davanti all'area come un cavallo di razza delle briglie e a lasciare Sinisa di sale, con quella camicia bianca che diventa una seconda pelle. Roberto Mancini è sempre lì, agitato quanto basta, nel suo rettangolo, a raccomandare e a gridare, a dettare anche il passaggio più elementare e la posizione più utile. Alle viste c'è da solo il primato della classifica, a punteggio pieno, ed è un'occasione da non perdere, la prima, la più giusta, quella imperdibile.

E così nel primo derby che conta, alla fine, è sempre il maestro che sopravanza l'allievo, illuso forse da quei lampi estivi che promettono solo temporali che non arrivano, pronto a cancellare una contabilità poco onorevole.

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