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L'aziendalista preso al volo che non può più partire lento

Zittì Ibrahimovic, litigò con Inzaghi, mise in panchina Seedorf. Con Galliani sodalizio perfetto, sarà il primo alleato di Agnelli

Per Allegri presentazione ufficiale in casa Juve
Per Allegri presentazione ufficiale in casa Juve

Martedì pomeriggio, Max Allegri aveva appena completato l'intervista per Sky e Michele Frola, il suo spin doctor ai tempi di Milanello, gli ha raccontato del terromoto juventino. «Vedrai che arriverà qualche telefonata» la previsione. «Ma figurati!» la risposta del livornese che non è mai stato un sognatore. E invece è arrivata la Juve, eccome se è arrivata, gli ha spedito una vettura per averlo a Torino in tempo utile, la firma del contratto e al volo la conferenza-stampa per disperdere la valanga di giudizi e pregiudizi. Max Allegri, detto “acciuga” dalle sue parti a Livorno, è un tipo così, concreto, pratico fino al limite del cinismo, niente affatto ideologico. Se nel calcio i paragoni sono sempre di moda lo si può catalogare tra i seguaci di Capello piuttosto che un rivoluzionario alla Sacchi. Certo, da toscano doc è un tipo fumantino: quella volta che seppe delle telefonate di Inzaghi a qualche cronista, andò di persona al raduno del settore giovanile per cantargliene quattro. Mal sopportava le bizze da prima donna di Seedorf calciatore e non ne fece mistero né con il club né con l'interessato, relegandolo in panchina. E dinanzi alle richieste ripetute di spiegazioni troncò la discussione: «Se devo parlare con tutti quelli che non giocano, non ho più il tempo per allenare!». Non si nascose certo quando si trattò di dirimere il contenzioso con Ibrahimovic che a Londra lo aveva criticato per lo schieramento di due portieri in panchina. «Ma che allenatore sei?» ringhiò Zlatan. «Tu pensa per te» gli rispose minaccioso Max.

Aziendalista convinto, sarà il primo alleato di Andrea Agnelli e Beppe Marotta sul mercato. Non farà tragedie per il mancato arrivo di Iturbe. Con Galliani imbastì un sodalizio perfetto: continui confronti, colloqui fitti e ripetuti, scambio di opinioni e una partecipazione attiva alla vita della società. «Secondo voi come si può definire un allenatore che è arrivato una volta primo, una volta secondo e una volta terzo?» la domanda retorica di Galliani per disarmare il fuoco incrociato sul suo amico Max, scelto ai tempi di Cagliari e portato a Milanello per rimpiazzare Leonardo. Prendete Pirlo, la sua spina nel fianco: lui gli preferì Van Bommel, è verissimo, ma il club ne sposò la scelta discussa per risparmiare uno stipendio oneroso (10 milioni lordi l'anno) della durata di 3 anni. Non solo: quando da Torino e dall'ex allievo gli arrivarono stoccate feroci, Allegri non replicò mai, neanche una stilettata. Eppure, qualche battuta, efficace, gli era riuscita, ai tempi del gol fantasma di Muntari. «Non posso parlare senza il permesso di Marotta» rispose un giorno. E un altro richiamò anche Conte: «Farebbe meglio a stare zitto». Furono giorni bollenti e tempestosi: Galliani aveva sul cellulare la foto del gol di Muntari, eppure Allegri accettò il verdetto finale dello scudetto finito a Torino senza accampare scuse. Il suo capolavoro riconosciuto fu il terzo posto con il Milan senza più Ibra e Thiago Silva, partiti anche i senatori, tipo Inzaghi, Nesta, Gattuso, Seedorf, con un 4-3-3 moderno e spettacolare. Ha un tabù da esorcizzare: le partenze lente e compassate, costrinsero il suo Milan a rimonte spettacolari in tutte e tre le stagioni. E una virtù da confermare: ha sempre superato il primo turno di Champions.

A dicembre, con la Juve agli ottavi, potrebbe già presentare il primo conto in attivo rispetto al suo predecessore.

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