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La Lega di A non dà proprio segni di vita

La Lega di A non dà proprio segni di vita

Nemmeno il diretto interessato, Carlo Tavecchio, presidente federale uscente perché dimissionario e nel frattempo commissario della Lega di serie A, avrebbe mai immaginato che la definizione («sarebbe l'apocalisse») attribuita al rischio poi diventato realtà, di eliminazione della Nazionale di calcio dal mondiale 2018, si sarebbe tramutata addirittura in una plastica profezia sul destino del calcio italiano. Già, perché da quel giorno, invece di inseguire nuovi orizzonti, i discussi protagonisti di questo disastro, si sono impegnati nel diffondere un senso di tragedia, se non di catastrofe. Rendendo perciò quella definizione una sorta di premonizione perché firmata prima di affrontare lo spareggio con la Svezia. Basta seguire la corsa elettorale alla rielezione del presidente federale per cogliere tutti i segnali di una crisi che è culturale innanzitutto e strutturale poi, conseguenza diretta di uno statuto il quale, assegnando alla Lega dilettanti il 34% dei voti e stabilendo in anticipo i seggi del consiglio federale, diventa una sorta di imbuto, impedendo la candidatura di personalità del settore. L'aspetto più pittoresco della corsa al successore di Tavecchio (urne aperte il 29 gennaio a Roma) è rappresentato dal tentativo, abortito, di Lotito (già presidente e proprietario di Lazio e Salernitana) di presentarsi come quarto candidato (gli sono mancati i voti necessari) sulla scia di Cosimo Sibilia (dilettanti), Gabriele Gravina (lega serie C) e Damiano Tommasi (sindacato calciatori).

Ancora più inquietante è l'immobilismo nel quale è precipitata la lega di serie A, una volta chiamata la confindustria del pallone, capace di produrre reddito (con i diritti tv) così da sovvenzionare il settore, da oltre un anno senza governance e dunque incapace di esprimere una candidatura per l'elezione del presidente federale lasciando uno dei contendenti, Sibilia, «senza parole». Tavecchio si è affezionato alla nuova poltrona e punta alla riconferma, Cairo è pronto a proporre una candidatura spagnola per la carica di amministratore delegato: solo in materia di gara per i diritti tv i presidenti sono riusciti a trovare un'intesa e a riscrivere il bando che era andato deserto nella precedente occasione. Sono tutti d'accordo solo su un punto: impedire a Giovanni Malagò di commissariare la federcalcio.

E non si rendono conto che, senza volerlo, stanno marciando compatti per consegnare all'inquilino del Foro italico le chiavi del pallone.

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