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«L'Italia è una squadra normale Ovvio che non sia in Russia»

Pablito: «Bene il var ma non cambierà i valori in campo Dico Brasile. Per farmi perdonare da loro 36 anni dopo»

Davide Pisoni

nostro inviato a Mosca

Dici Mondiale, pensi Paolo Rossi. In Italia è così. Spagna '82 è la sublimazione di un Paese che quando è sull'orlo del baratro tira sempre fuori il meglio. «Uscivamo dagli anni di piombo, è stata una botta di orgoglio che ha riacceso il senso di appartenenza. Lo tocco con mano con la mia mostra che porto in giro per l'Italia», racconta Paolo Rossi. E trentasei anni dopo, ritrovi Pablito nella piazza Rossa, versione commentatore per raccontare con Mediaset la coppa del mondo.

Da bomber a inviato che effetto fa?

«Dopo tre mondiali giocatori, sono curioso di vedere come è cambiato. Voglio vedere se Infantino ha ragione a dire che sarà il più bello di sempre. È un'esperienza affascinante che voglio vivere fino in fondo. Il mio era un calcio d'altri tempi, adesso siamo alla versione tecnologica con quaranta telecamere che ti regaleranno ogni sfumatura del gioco».

Soprattutto sarà il primo mondiale con il Var.

«Finalmente. Ci siamo arrivati tardissimo. Son favorevole perché toglie i dubbi, elimina le polemiche. Anche se var o non var, alla fine vincono i favoriti».

Non c'è spazio per le sorprese?

«Difficile. Ci può essere la rivelazione, ma per vincere bisogna arrivare in fondo e per farlo non basta essere delle sorprese».

Quindi chi vince?

«Dico Brasile».

Detto da lei che l'ha fatto piangere...

«È un modo per farmi perdonare per quella rivincita che mi sono preso trentasei anni fa».

Rivincita?

«Sì. Perché se mi chiede quale partita ho in mente del mondiale, dico la finale del 1970 con quel 4-1 vissuto con tutte le attese di un ragazzo. Avevo quattordici anni, quella partita mi ha ispirato. Ha generato in me uno spirito di rivalsa. Un sogno che si è realizzato dodici anni dopo perché perdere una finale in quel modo mi aveva segnato. E ritrovarseli davanti... È andata com'è andata. Ce l'avevo dentro».

C'è chi giocava a scopone su quell'aereo, e lei?

«Io ho viaggiato con la coppa al mio fianco, non l'ho mollata un attimo».

Ci sono settecentotrentasei potenziali Pablito in Russia, quali consigli si sente di dare?

«Bisogna cogliere l'attimo, per farlo bisogna essere pronti e preparati. Poi la mia storia è più unica che rara. Due anni di squalifica; nessuno mi voleva in Nazionale, ma Bearzot e la squadra mi hanno protetto. Neanche la miglior sceneggiatura di un film sarebbe potuta arrivare a tanto».

A dire il vero nessuno riusciva ad immaginare a un Mondiale senza Italia. Cosa ha provato la notte di Italia-Svezia?

«Un senso di smarrimento. Poi ho realizzato che l'Italia di oggi è una squadra normale, come tante altre e di conseguenza può succedere di tutto. Nel calcio di oggi la storia non va in campo, devi conquistarti tutto sul campo. Siamo indietro rispetto alle grandi. Questa è la realtà. Non vedo nuovi Pirlo, Totti, Del Piero».

Dove abbiamo sbagliato?

«Ci siamo persi una generazione di calciatori. E poi se uno è bravo deve giocare a 18-19 anni. Noi riteniamo giovane gente di 24-25 anni. All'estero a quell'età hanno già nelle gambe decine di partite in Champions».

Invece i nostri Belotti e Immobile, solo per restare nel suo ruolo, non hanno ancora una dimensione internazionale?

«Può essere, però stiamo parlando di due attaccanti su cui puntare forte».

È tornato Balotelli.

«Ma non può bastare. Non è sufficiente, è una risorsa».

E c'è Mancini.

«Assicura una bella dose di esperienza e l'abitudine a vincere. Ma per riprendere il discorso azzurro interrotto bisogna dargli il materiale».

Secondo lei come siamo messi?

«Caldara, Pellegrini e Chiesa sono pronti. Ma non possiamo più perdere tempo. In sette-otto mesi dobbiamo individuare quei due-tre campioni che mancano, sui quali costruire la Nazionale. Senza dimenticare che bisogna rifare la difesa. Serve pazienza, ma sono fiducioso che si possa tornare competitivi».

Tra le nazionali in Russia, per lei c'è qualche altra grande favorita, oltre al Brasile?

«La Spagna. Ecco se c'è qualcuno a cui dobbiamo ispirarci, non copiare, possono essere gli spagnoli. Si rinnovano sempre, hanno un metodo di lavoro che può darci spunti».

Le nostre rivali storiche dicono che sono dispiaciute di non avere l'Italia al Mondiale, c'è da credergli?

«Non è piaggeria. Anche se l'Italia dà sempre fastidio. Ma quando vinci vuoi farlo con tutti gli avversari in campo. L'82 è mitico perché noi abbiamo battuto l'Argentina campione in carica, il Brasile grande favorito e la Germania. Battere queste squadre ha reso quell'impresa unica».

Dei suoi tempi chi sceglie tra Maradona, Platini, Cruyff e Zico?

«Scelgo Michel perché ci ho giocato tre anni insieme e ho toccato con mano il suo genio. Certo che diventa difficile fare una classifica con questi nomi».

Più facile oggi? Neymar, Cristiano Ronaldo o Messi?

«Adesso dico Neymar».

Ha proprio qualcosa da farsi perdonare con il Brasile...

«Ha una squadra che lo accompagna, mentre CR7 arriva in Russia con qualche distrazione per via dei problemi con il Real Madrid. Mentre Messi gioca da solo contro tutti».

Chi in Russia si può avvicinare a questi tre mostri?

«Mbappè. Mi piace tantissimo».

Parola di Pablito, da bomber a inviato al Mondiale.

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