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L'odiata Maria unica salvezza del tennis rosa

L'odiata Maria unica salvezza del tennis rosa

Non è simpatica. Pensa solo ai soldi. Si atteggia a star. Si è dopata. È una mangiauomini. La lista potrebbe continuare: quante volte abbiamo sentito dire tutto ciò - e in ordine sparso - riguardo Maria Sharapova? Certo: qualcosa è verità. Ma di sicuro Masha una qualità ce l'ha, ovvero sa giocare a tennis. Eccome. In pratica: l'altra notte a New York la Sharapova è tornata in uno Slam dopo 19 mesi e ha vinto al primo turno contro l'attuale numero due del mondo, Simona Halep. Da Melbourne 2016 ad oggi intanto è successo un po' di tutto, con l'annuncio al mondo della positività al Meldonium, l'oblio dei 15 mesi di squalifica, il ritorno in campo tra le frecciate di avversarie-addetti ai lavori-media, gli inviti a singhiozzo ai tornei con annessa discussione sull'eticità degli stessi. Lei ha risposto facendo spallucce, attirandosi nuove inimicizie. Però tutti sanno che il tennis femminile, in un periodo di mediocrità generale, non può fare a meno di lei (e della gestante Serena Williams). E allora: si può giudicare una tennista secondo antipatia? Quanti di quelli che giudicano conoscono davvero la Sharapova? E quanti di quelli che conoscono la Sharapova possono giudicare? La risposta a queste domande potrebbe sorprendere. Maria fa presente di aver pagato le sue colpe (secondo lei minime, come da manuale delle giustificazioni del dopato), ed in effetti ha pagato. Così come intanto ha studiato ad Harvard per far crescere gli affari della sua azienda di caramelle; così come poi si è rimessa ad allenarsi duro per tornare a giocare. E diciamolo: non ne aveva bisogno. Alla fine a New York si è presentata un po' a mezzo servizio, eppure ha vinto. E nel tripudio del pubblico. Certo, dopo ha pure versato lacrime di rito dicendo che sotto il vestitino pieno di Swarovsky c'è una brava ragazza. Ma questo fa parte dello show, che prevede una prossima autobiografia. Il suo show però che oggi è indispensabile, fino a (ri)prova contraria. Perché il tennis ha bisogno di lei, mentre il resto conta per chi ci deve andare a cena. O per chi vorrebbe essere come lei.

Senza poterlo essere.

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