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Lorenzi: "Io, un vecchietto del tennis che si è scoperto giovane a 35 anni"

N°1 azzurro, primo torneo vinto nel '16 a Kitzbühel: "Ma quanta gavetta"

Lorenzi: "Io, un vecchietto del tennis che si è scoperto giovane a 35 anni"

Il tennis italiano al maschile, come ha dimostrato la scorsa stagione, non può far altro che aggrapparsi ai vecchietti. Il motivo? Le nuove baby generazioni, a differenza dei coetanei di altri paesi, si perdono prima del grande passo. E i più esperti, rimasti ancorati ai risultati di prestigio del 2015, a fatica tengono a galla il movimento azzurro.

Nell'elenco di questi ultimi di certo c'è Fognini, prossimo a festeggiare le trenta primavere, che abbina colpi da fuoriclasse a cali psicologici tragicomici. C'è Bolelli, che con il ligure condivide la vittoria all'Australian Open di due anni fa ma da tempo lontano dai campi per un infortunio. C'è Seppi, il più eclettico (l'unico in grado di vincere un torneo Atp in tre superfici diverse) e il più costante tra gli azzurri da dieci anni a questa parte. Infine c'è Paolo Lorenzi, nato a Roma ma senese doc, ragazzo umile e laborioso, che non vanta un palmarès equiparabile ai colleghi citati sopra, ma che dopo tanto girovagare nei circuiti challenger (i tornei di seconda fascia) si è affacciato, a piccoli passi, al tennis che conta. E, unito a tanta dedizione, a 35 anni ha vinto il primo titolo Atp della carriera (a Kitzbuehel), chiudendo la stagione nei primi 50 del mondo. Il lavoro paga sempre.

Lorenzi, se pensa a 5-6 anni fa, ci avrebbe mai creduto?

«Diciamo che qualche anno fa sarebbe stato molto difficile immaginare di arrivare a questo punto, però è anche vero che ho lavorato duro senza pormi limiti».

Come ci si sente, dopo tanta gavetta, ad essere il numero 1 azzurro?

«Fa sicuramente piacere, però posso dire che sono più felice del ranking che ho raggiunto (a fine 2016 è salito al n°35, suo record, ora è 43 ndr) dopo il percorso lunghissimo che ho dovuto affrontare, il fatto di essere numero uno italiano non era un mio obiettivo perché dipende anche dagli altri giocatori».

A fine anno si è sposato

«Il matrimonio è stato uno dei momenti più felici della mia vita e mi ritengo una persona fortunata perché la mia passione è diventata il mio lavoro».

Lei non molla mai. Da dove viene tanto impegno?

«Credo che mi abbia aiutato moltissimo avere un fratello più grande (Bruno) che era sempre più bravo di me. Questo mi ha portato a cercare sempre di migliorarmi per provare a batterlo senza buttarmi giù».

Le nuove generazioni si perdono prima del grande passo. Come se lo spiega?

«Non credo sia un problema solo dei giovani italiani, ma sono tanti i giocatori nel mondo a fare fatica. Il passaggio da junior a pro è il più complicato, quindi ci vuole tempo e pazienza. Spero, in questo senso, di essere un esempio per i più giovani, vorrei far capire loro di porsi meno limiti».

Facciamo fatica ad arrivare alla seconda settimana dei tornei dello Slam. Il tennis azzurro è in crisi?

«Non lo reputo in crisi, anzi c'è un ottimo movimento e nei prossimi anni credo che migliorerà. Però è indubbiamente vero che negli slam ultimamente abbiamo fatto più fatica».

Chi è il tennista preferito del passato o del presente a cui lei si ispira?

«Da piccolo ero tifoso di Becker, poi crescendo cerco di imparare dai migliori ma non ne ho uno in particolare al quale mi ispiro».

È ripartita la nuova stagione. Obiettivi?

«Gli obiettivi rimangono due, gli stessi di ogni stagione che inizia: migliorare il best ranking e chiudere la stagione meglio di quella precedente».

Primo turno di Coppa Davis tra il 3 e il 5 febbraio. Si può battere l'Argentina campione uscente?

«Credo si possa fare, siamo una squadra molto forte e sulla terra rossa possiamo giocare alla pari contro qualunque squadra».

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