Sport

Lorenzo Bandini, amico mio sfortunato

Il ricordo: il suo garage è davanti a casa. Rivivo ogni giorno la sua tragedia

di Enrico Benzing

Il dolore, in quel Gp di Monaco di cinquanta anni fa, fu immenso, perché Lorenzo Bandini fu per me il pilota più amato; ma altrettanto grande e quasi quotidiano è il ricordo, perché sull'altro lato del viale in cui abito c'è sempre il piccolo garage che apparteneva a Goliardo Freddi, il papà di sua moglie Margherita, e dove tutto è rimasto quasi come allora. Passando accanto, rivivo sempre quegli anni, con l'immagine di Lorenzo sempre viva. Mi sembra di rivedere quella mitica Fiat 1100 truccata che Freddi gli ha dato per il suo esordio agonistico. Per anni è stato il mio garage e c'era sempre Margherita sorridente dietro la vetrata dell'ufficio. E ad ogni richiamo della mente rivivo il suo dramma: il dramma dello scoramento. Sì, perché dopo anni di richiami alla memoria di quella disastrosa uscita dalla chicane, l'urto contro la bitta, l'immane incendio, che il principe suo amico voleva spegnere con la propria giacca, non penso più alle cause tecniche, se non al fatto che i circuiti odierni sono diventati tanto più sicuri. Penso soltanto a quel che avrebbe provato Lorenzo, per quella sua uscita, in quel punto del circuito di Monte-Carlo, con la quinta marcia trovata inserita, al posto della terza. La confidenza era tale che, alla vigilia, non si ragionava d'altro che della sua sicura vittoria. La sua Ferrari 312 era una bella macchina, con un motore a dodici cilindri che faceva la differenza rispetto a tutte le altre macchine con motore V8 tre litri. E poi, quel secondo miglior tempo in prova, a fianco della più agile Brabham del pilota-costruttore. Lo vedevo sempre in testa al primo giro e provavo delle fitte quando ha perso il comando per l'olio lasciato dallo stesso Brabham sull'asfalto e per Hulme al primo posto. Altre fitte man mano che i distacchi aumentavano. Vedevo che quasi scuoteva la testa. Troppa sfortuna. E in me vivevo il suo scoramento. Lo capivo fino nelle pieghe del suo carattere. C'era affiatamento. Quando mi ha portato al suo natio Reggiolo, capivo anche la sua difficile infanzia. Non ho mai conosciuto un pilota con la sua sconfinata gioia di esercitare lo sport motoristico. Come quando ha corso, proprio a Monte-Carlo, con una Volpini Junior, sempre sorridente, anche se la posizione non era buona, perché gli altri avevano già le macchinette a motore posteriore. Eravamo quasi coetanei.

Nel momento del coronamento della sua carriera non concepivo un simile accanimento della sorte verso un giovane che sarebbe diventato uno dei maggiori campioni dell'epoca.

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